Un esecutivo in ostaggio

Gian Micalessin

Alla fine, dopo una «via crucis» durata oltre quattro mesi e l’eliminazione di ben tre aspiranti-Commissari Ursula von der Leyen è riuscita a far approvare la sua Commissione.

Un interrogativo resta però irrisolto. A che serve un simulacro d’esecutivo europeo i cui esponenti non sono scelti in base alle capacità e alle competenze necessarie a realizzare un programma comune, ma solo per riempire le caselle riservate ai singoli stati? Ovviamente a ben poco. E infatti ogni crisi è stata fin qui affrontata dalle varie Commissioni con la pachidermica lentezza tipica di non di un esecutivo politico, ma di un irresponsabile organismo burocratico. Questo perché la Commissione, a differenza di un vero governo, nulla può senza l’imprimatur dei veri sovrani ovvero Germania e Francia. L’ombra della neppur dissimulata diarchia grava anche sulla Commissione von der Leyen. Per capirlo basta esaminare il progetto, presentato lunedì da Parigi e Berlino, di una «Conferenza sul Futuro dell’Europa» pronta a partire nel 2020, in concomitanza con la Presidenza tedesca del Consiglio Ue, e da concludersi, nella prima metà del 2022, quando la Presidenza passerà a Parigi.

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