Voto in Gran Bretagna, trionfo dei tories. E la Londra degli italiani è già cambiata

Gli Italian Conservatives assicurano che la Brexit non sarà un dramma. Dicono che Johnson ha preso impegni chiari: chi è già qui, e chi arriverà nel 2020, non ha nulla da temere. Basta scaricare l’apposita app e fare il pre-settled status, una procedura da pochi minuti (solo da Android però; con l’iPhone non funziona). Prima costava 65 sterline, adesso è gratis. Chi invece è qui da oltre cinque anni può avere direttamente la residenza. E chi deve ancora venire? Laureati e specializzati non avranno problemi. Ma gli altri?

Nel pub dal lato opposto della strada lavora Giorgio. Faceva il barman al Savoy, ma poi ha lasciato: troppo stress, e troppo lavoro; «non si ha idea di quanto bevano gli inglesi». A servire birra alla spina guadagna meno, ma respira di più. Spiega che gli italiani qui non cercano solo lavoro e meno tasse: cercano prospettive, libertà, cambiamento. La Brexit non è solo una questione di regole, ma di umore, di spirito, di psicologia. Gli inglesi ti accolgono, ma ti fanno sentire ospite. Giorgio ad esempio ha inventato molti cocktail, ha partecipato a molte gare, però arrivava sempre secondo: il vincitore doveva essere inglese. I baristi italiani non mettono da parte quasi nulla. Il primo stipendio di solito è 1100 sterline: 600 vanno per l’affitto, 120 per la metro, e bisogna pur mangiare. La città è divisa in sei zone, sei cerchi concentrici: avvicinarsi o allontanarsi dal centro è la misura della propria fortuna. Se sei bravo ti aumentano il salario; se non sei bravo ti prendono da parte e ti mandano via.

Per i broker della City vale lo stesso meccanismo. All’inizio gli italiani erano sottovalutati: non ci hanno visti arrivare. Ora siamo considerati i più veloci a comprare e vendere; un po’ meno nella raccolta dei fondi, per cui servono rapporti coltivati nel tempo. Merito e dinamismo sono tutto; questo significa opportunità, ma anche competizione. Londra attrae, seleziona, scarta. Le società badano a valorizzare i talenti, anche giovanissimi: alla Barclays dopo quattro anni gli juniores giudicano i dirigenti. Gli accademici sono cinquemila, i medici duemila. E’ italiano il direttore della National Gallery Gabriele Finaldi (che si è appena fatto prestare dalla Courtauld la Madonna con il bambino di commovente bellezza che Parmigianino lasciò incompiuta dopo il Sacco di Roma, e la Deposizione di Anversa, forse il più bel quadro dipinto da Rubens). Ma molti continuano ad avvertire sulla testa un soffitto di vetro: il potere vero resta nelle mani della vecchia classe dominante. Poi c’è una cosa che gli italiani di Londra – che ignorano cosa sia il razzismo, tanto più nella metropoli meno razzista del mondo – faticano a confidare: votano più facilmente i sudditi del Commonwealth dei cittadini europei; il destino di italiani, spagnoli, francesi è nelle mani di pachistani, kenyoti, giamaicani. E’ il contrappasso della storia, il mondo globale funziona così. Da oggi Oltremanica ci si sente meno europei, e più legati a una storia che pareva finita, a suggestioni imperiali che sembravano appartenere a un passato nostalgico; e forse si riveleranno impossibili da resuscitare.

All’In&Out si applaude e si brinda. Christian Vinante Giovannini, il direttore dell’associazione, accenna un brano di Frank Sinatra: è venuto a Londra dalla val di Fiemme come cantante confidenziale, è diventato un membro dello staff di Johnson. Il presidente, Maurizio Bragagni, è in partenza per Uxbridge, il collegio del premier, all’estrema periferia occidentale della città: «Boris le ha azzeccate tutte. Ha puntato sugli elettori laburisti del Galles e del Nord dell’Inghilterra favorevoli alla Brexit. E ha dialogato con la Londra moderata, che ha buoni ricordi di quando era sindaco».

Pure qui nel club molti camerieri sono italiani. Il signor Carmelo è a Londra da cinquant’anni, e ritiene di non aver alcun bisogno di regolarizzarsi: chi può venire a cercarlo e mandarlo via? Il console Marco Villani si sta occupando di questi casi: persone anziane, che non hanno dimestichezza con la burocrazia digitale; la Brexit però arriva anche per loro. Ogni giorno vengono al consolato 150 italiani per registrarsi: non sono nuovi arrivati, ma residenti che emergono. E nei ristoranti, come racconta lo chef Francesco Mazzei che ne ha tre, la manodopera comincia a mancare. La lunga notte iniziata con il referendum del 23 giugno 2016 è probabilmente finita; ma la meravigliosa Londra cosmopolita rischia di diventare un posto da cui partire.

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