Ma è una vittoria che può costare molto cara a Bojo
Del programma laborista, fatto per compiacere la propria base tradizionale, non importava nulla. Tutti volevano finirla con questo tormentone. E quindi Johnson ha potuto condurre una furiosa, ma inequivoca campagna pro-Brexit, grazie al fatto che i governi Ue, guidati dalla Merkel contro Macron, avevano lasciato agli inglesi, ancora irrisolta, la decisione sulla uscita dall’Unione.
Il secondo errore lo ha commesso Corbyn quando ha consentito a Johnson di andare alle elezioni; un errore fatale perché il Labour è stato costretto a competere sul terreno a lui più ostico. L’ambiguità di Corbyn sulla Brexit aveva tenuto in surplace il Labour lasciando che fossero i Tories ad accapigliarsi; ed in effetti la strategia appariva efficace, a livello parlamentare. Ma andando alle urne il partito doveva prendere posizione, e quella laborista è stata pallida e incerta finendo per scontentare sia i giovani e la middle class cosmopolita sia, soprattutto, la base operaia che ha voltato la faccia al partito. La perdita di una serie di storici bastioni operai è la prova lampante di quanto la Brexit sia stata dominante in questa campagna.
Infine, ultimo tassello, la vittoria degli indipendentisti scozzesi. Ridimensionati dal Labour nelle ultime elezioni sono tornati con forza proprio grazie a Johnson perché l’ipotesi di una uscita dura e pura dall’Ue ripropone la questione scozzese in nuovi termini e rende l’esito del prossimo referendum indipendentista molto più favorevole al distacco dal Regno Unito .
La vittoria Johnson è ampia e confortevole: ha eliminato i filo europei dal suo partito e messo in un angolo i labouristi. Ma è una vittoria che può costare molto cara perché, oltre a “perdere” l’ Europa – e si accorgerà presto quali conseguenze porterà la Brexit senza accordo, cioè dovendo rinegoziare accordi commerciali con tutti i paesi del mondo – perderà anche la Scozia. E sarà un bel problema per Boris.
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