Perché il Parlamento (tranne Salvini) non vuole andare a votare

In realtà il Cavaliere l’aveva capito e aveva provveduto a muoversi. Il fatto che Conte gli sia «simpatico» è un additivo funzionale al suo disegno: farsi garante della stabilità per impedire il collasso della legislatura, assecondando al tempo stesso le manovre di Salvini che invece vorrebbe tornare alle urne.

Potrebbe sembrare un controsenso, ma non lo è. Se è vero che il capo della Lega mira a destrutturare quanto resta di Forza Italia, come dimostrano certi veti per le Regionali, è altrettanto vero che Berlusconi – non più in grado di garantire tutto a tutti – glielo lascia fare. A modo suo però. All’ultima riunione dei gruppi forzisti, infatti, l’hanno sentito salutare alcuni parlamentari in odore di scissione con una frase sibillina: «Se proprio decidete di andare, non andate con Salvini o la Meloni. Iscrivetevi al gruppo misto». Quel gruppo è da sempre l’incubatrice di ogni iniziativa di Palazzo, l’oasi dove un premier può all’occorrenza trovar ristoro.

E dopo le prima avvisaglia di diaspora grillina, a Conte serva un colpo d’Ala, serve cioè una formazione come quella che Verdini costruì nella scorsa legislatura per aiutare Renzi. Al momento i potenziali responsabili non sembrano avere un progetto comune: le cene della Carfagna si succedono, mentre Rotondi e Cesa attendono di piazzare il loro scudocrociato, mentre una decina di Cinque Stelle sta a guardare. Il magma non si è ancora solidificato.

È certo però che l’operazione non potrebbe riprodurre lo schema di Ala, perché nessuno accetterebbe la parte dell’alleato che viene ricevuto di notte ma non viene riconosciuto di giorno. E sul riconoscimento politico dei responsabili si discute da almeno un mese: ce n’è la prova sui cellulari di Conte e Zingaretti, lo si capisce anche da certe reazioni di Di Maio che hanno indotto il premier a essere (ancor più) prudente. Ma c’è un motivo se ieri un autorevole ministro sosteneva che, «messe a posto le cose con la verifica, dopo le Regionali di primavera va messa nel conto l’ipotesi di un rimpasto».

Certo, il governo potrebbe cadere in ogni momento per incuria o imperizia ma non attraverso una manovra. Quegli spazi per Salvini paiono ridursi. Persino la Meloni, che pure chiede le urne, aspetta di vedere come farà il leader della Lega a conquistarle: e mentre FdI sale nei sondaggi, lei usa il tempo per verificare se il passo dell’alleato mostra segni di cedimento. Varie ragioni, anche contrapposte, tengono in piedi la legislatura. Insieme agli «inviti alla stabilità» che – racconta un rappresentante del governo – «dalle cancellerie straniere arrivano ai vertici istituzionali». In Parlamento ormai è così vasto il fronte dei responsabili che – dice Franceschini – «andrebbe trovato qualche irresponsabile». Non è una battuta, è che non si fida…

CORRIERE.IT

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