Fine dei 5 Stelle
In pochi mesi Di Maio ha dissipato un enorme patrimonio di fiducia evidentemente malriposta. Sono partiti per suonarle e sono rimasti suonati, prima governando con Salvini, che gli ha sottratto con furbizia il cinquanta per cento dei voti, ora con il Pd, che li spolpa ulteriormente grazie all’aiuto malcelato di quel furbone di Giuseppe Conte che in faccia ti sorride e alle spalle ti pugnala. Con il senno di poi Di Maio avrebbe fatto meglio a stringere da subito un patto con Silvio Berlusconi, l’unico leader che – essendo un vero liberale – gli alleati li ha sempre rispettati, foraggiati e fatti crescere (con lui persino Fini e Casini sono usciti dal ghetto e accarezzato l’idea di essere statisti). E non è una battuta.
C’è stato un momento – ne sono testimone – prima che i Cinque Stelle gettassero la maschera mostrando il loro volto illiberale – che il Cavaliere era se non affascinato quantomeno molto interessato a questi ragazzotti dalle belle speranze, che tanto piacevano alla gente che piace. Altri tempi. Oggi i Cinque Stelle sono tecnicamente finiti, nella migliore delle ipotesi, con la regia di Beppe Grillo, per sopravvivere diventeranno una costola del tanto da loro odiato Pd. È la fine che si fa quando l’ambizione è superiore alle qualità, l’arroganza al buon senso. Adesso Di Maio piagnucola e dà la colpa ai traditori opportunisti del «sogno di Casaleggio». Ma le sue sono lacrime di coccodrillo.
IL GIORNALE
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