Wuhan, i medici-eroi contro il virus tra piaghe e crisi di nervi: «Siamo stremati»
Forse non sono tutti eroi, ma coraggiosi sì. Chi vorrebbe entrare oggi in un ospedale di Wuhan? Medici e infermieri e addetti alle analisi, alle pulizie, alle cucine sono lì e quando escono si portano addosso il dubbio di poter contagiare i familiari. Arrivano molte testimonianze dalle corsie della città di 11 milioni di abitanti sotto quarantena, diventata il «ground zero» dell’epidemia di coronavirus. Alcune sono ad uso della propaganda, altre dimostrano stress, ma si coglie anche paura. Tutte sono da prendere con estrema serietà.
Per telefono, si sente la voce di Wang Jun, infermiera del Jinyintan, il centro dei primi ricoveri. «Ci sono colleghi con piaghe alla pelle della faccia, perché dobbiamo portare sempre la maschera e gli occhialoni protettivi, da tenere ben stretti, e i turni sono lunghissimi». Wang riferisce alla tv statale la routine igienica di questi giorni: «Finita la giornata, ci dobbiamo togliere gli indumenti protettivi strato dopo strato. Prima lavi i guanti, e poi cominci a liberarti della tuta; ci hanno detto di disinfettare di nuovo le mani prima di continuare con gli altri strati. Maschera, occhiali e calottina per i capelli vengono per ultimi, dopo essersi rilavati le mani». E così anche le mani si screpolano. Finito il turno, rimessi gli abiti normali, ultimo passaggio di disinfezione all’uscita. La collega Fan Li dice delle difficoltà di andare al bagno, di bere un bicchiere d’acqua in corsia: «Non puoi certo spogliarti e neanche sollevare la maschera e passano ore prima di poterlo fare».
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