Per Bonaccini

Chissà, forse la paura di queste ore potrebbe diventare una sveglia per tutti. In caso di sconfitta, sopravviverebbe, questa è l’intenzione, anche di fronte a una gigantesca questione democratica: un Governo all’opposizione del paese e un Parlamento che del paese non è più neanche lo specchio deformato, ma lo specchio rotto.

Ma prima ancora c’è il valore del voto in sé. Un voto contro la “paura”, in una terra che, da sempre, rappresenta un modello di “comunità”, fondato su un accorto sistema di alleanze sociali. Non ci sono luoghi nel nostro paese in cui sono riusciti a coesistere così progresso economico e coesione sociale, Pil e democrazia. È vero, anche il “modello emiliano” ha subito il logoramento della crisi e le contraddizioni della post-modernità, ed è attraversato da ansie, incertezze, difficoltà. È una Regione in cui la questione sicurezza si pone in maniera icastica proprio perché è una Regione sviluppata: sicurezza sociale, ambientale e fisica sono un tutto, e se non li tieni insieme non parli più al tuo popolo che, peraltro, ha sempre avuto un riflesso di legge e ordine sin da quando era comunista. Qui c’è un limite della sinistra, però è bene non dimenticare che, nonostante tutto, sarebbe ingeneroso rinnegarne il valore del modello e i suoi successi nell’Italia divorata dalla crisi.

Che cosa è stata questa campagna elettorale emiliana di Salvini? Solo una gigantesca fabbrica dell’odio e della paura, tesa ad aizzare la rivolta dove quel modello scricchiola perché la crisi tocca tutti, anche le società che furono opulente: la caccia all’uomo via citofono, la speculazione sul dolore a Bibbiano, l’orgogliosa rivendicazione di essere processato per aver impedito a una nave di poveri Cristi di sbarcare, evocando un’invasione che non c’è mai stata. Mai una parola sull’Emilia, trattata come uno “scalpo” da agitare, nascondendo il candidato e deformando la realtà. Neanche una proposta per sbaglio, comizio dopo comizio, sempre lo stesso, portato in giro come una canzone nelle varie balere, intrisa di bullismo semantico, tesa a iniettare veleni nelle periferie, nella gioventù precarizzata, nel ceto medio più insicuro di una volta. Linguaggio già entrato nel circuito mediatico come quotidianità, come una sorta di banalità del male che rende normale la disumanità, la xenofobia, le pulsioni regressive.

È impressionante, complice il vuoto di un grande racconto alternativo: una campagna securitaria proprio in una Regione dove comunque un modello di integrazione tiene e interi settori sono a livelli di eccellenza grazie alla manodopera di immigrati. Il citofono del Pilastro ha la stessa logica dei Decreti Sicurezza, che producono clandestini, alimentano la paura e con essa il bisogno dell’uomo forte: in un quartiere popolare, sensibile al tema della sicurezza, si stabilisce l’equazione tra immigrato e delinquente, col novello sceriffo che sostituisce la legge col citofono a favor di telecamera. Non conta la risoluzione del problema, conta drogare il clima, alimentare l’aspettativa: la sicurezza come suggestione, non come politica.

Parliamoci chiaro, se la politica fosse solo statistica, indicatori e dati di Pil, Stefano Bonaccini dovrebbe stravincere: quando diventò presidente la disoccupazione era al 9, adesso è al 5 per cento; l’Emilia è la prima Regione per crescita nel paese consecutivamente da cinque anni; è prima davanti a Lombardia e Veneto anche nell’export pro-capite; è prima per occupazione femminile anche perché ha più posti di tutti negli asili nido; nella sanità pubblica anche il Governo gialloverde la indicò come Regione benchmark; è l’unica Regione ad aver già abolito il superticket; ha dimezzato le rette dei nidi. Sono i numeri di sala macchine del riformismo ancora funzionante. La politica però non è solo Pil, è anche sogno, connessione sentimentale, identità, sedimentazioni profonde, in parte risuscitata dalle piazze delle Sardine che cantano Bella Ciao, note di anticorpi ancora funzionanti verso i virus dell’intolleranza. Sogno o incubo, come può esserlo il Governo della paura. Lasciate perdere Conte, i distinguo, gli errori, i malumori, i maldipancia. Chi non vota Bonaccini dà l’Italia a Salvini. È una scelta di campo. 

L’HUFFPOST

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