La psicosi per il virus cinese. Il vero nome di ogni nostra paura
di MICHELE BRAMBILLA
La paura viene, senza bisogno di nulla, in sul far di certe imprevedibili sere»: così comincia un racconto che Dino Buzzati scrisse sul Corriere della Sera il 7 novembre 1946, e che s’intitolava, appunto, «La paura». Era appena finita una guerra spaventosa, non c’erano più le trincee i bombardamenti i lager. Eppure, lungo le siepi in campagna, ma anche nei condomini di città, e perfino dietro qualche chiesa solitaria, sul far di certe imprevedibili sere arrivava la paura. È come se l’uomo non possa mai vivere senza paura. Oggi, il nome della paura è il coronavirus, come ci spiega Noto nel sondaggio.
E certo il morbo cinese spaventa, soprattutto perché ci è ignoto, misterioso, sfuggente. Com’è nato? E dove? E quando? E quanti nostri fratelli umani ha già colpito davvero? E quanti ne ha uccisi? E come si può curare? Ma poi: si può curare? Nel suo sondaggio, Noto fa emergere giustamente l’irrazionalità della paura, la disinformazione. Se c’è un caso di informazione disorientante – e quindi di disinformazione – è proprio questo. Da un lato vengono diffusi numeri piccoli: 250 o 270 morti, che cosa sono se paragonati a quelli di una normale influenza? Ma dall’altro lato, si prendono provvedimenti mai visti: Stati che chiudono le frontiere, voli annullati per mesi, intere città sotto chiave, ospedali costruiti in dieci giorni, campionati di calcio sospesi.
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