Le conseguenze del coronavirus. L’impero cinese e il rischio dell’implosione

di CESARE DE CARLO

Le civiltà si suicidano o vengono uccise? Arnold Toynbee fu categorico: si suicidano. E così altri come il francese Grousset: nessun impero viene conquistato dall’esterno senza essersi precedentemente autodistrutto all’interno. Esempio, quelli cinesi di molte delle 49 dinastie. O quelli dell’America colombiana. Terribili pandemie, almeno all’inizio. Nate in Asia nel primo caso. Portate dai conquistadores nel secondo. E persino il tardo impero romano ne fu sconvolto dopo la peste cipriana (da Cipriano, vescovo di Cartagine), terzo secolo dopo Cristo, e dopo la peste giustinianea, quinto secolo. Bastò poco poi ai nemici ad annientare intere civiltà. 

E ora? Chi è più in pericolo? La Cina del paradosso comunista, da dove proviene il coronavirus e da dove sono spuntati tanti altri virus nello scorso millennio? Anche la peste bubbonica (1350 dopo Cristo), 200 milioni di morti. Anche l’influenza asiatica (1957), 2 milioni di morti. Anche la spagnola (1918), in realtà asiatica, 50 milioni di morti. O siamo noi i più minacciati? Dopo essere stati messi in ginocchio dalla concorrenza sleale e dal sistematico disprezzo per l’ambiente e l’igiene di massa, ci rimetteremo anche la salute? Per ora le conseguenze più devastanti sembrano investire la Cina. Le paure di cui parlava ieri il nostro direttore Michele Brambilla stanno bloccando viaggi, commerci, produzione, investimenti. Paralizzano la globalizzazione in un momento in cui la congiuntura cinese rallenta o forse si ferma anche per la reazione americana.

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