“17 miliardi sugli investimenti”

Insomma, sforare non è un tabù.

Il problema è che discussione si porta in Europa e con quali prospettive.

Come giudica Salvini che ha già annunciato un no preventivo al decreto del governo?

Non è il momento della speculazione politica. Anche le opposizioni devono fare la loro parte. Come sa, non parlo di governissimi o robe del genere, parlo di un senso di responsabilità che deve prevalere nei confronti del Paese.

Il governo è fermo anche sulle crisi industriali da Ilva ad Alitalia. Secondo lei ha la forza per affrontare questa emergenza o vede incertezze politiche e comunicative?

Non è la prima volta che emerge un problema tra governo, regioni, comuni. Penso sia giunto il momento di governare i processi. Cosa che si fa tutti assieme. Va cioè colta l’occasione per fare riforme profonde.

La Fed ha tagliato i tassi dello 0,5.

Infatti ‘c’è il rischio recessione’ non lo diciamo solo noi sindacati. Mi pare che sia sotto gli occhi di tutti che è una questione internazionale. Quindi il problema non sono i decimali, ma quali scelte di stato sociale, di politica industriale, quale visione, quale prospettiva dare al Paese. Vedo la necessità di una dimensione europea nella discussione e di ridare un ruolo dell’Italia in Europa. Anche l’Unione ha un problema: siamo di fronte alla messa in discussione di un modello di sviluppo che impone, a tutti i livelli, una visione nuova.

Ieri avete incontrato Zingaretti, domani Conte, è ripartita la logica dei “tavoli”. Tutto bene, ma non pensa che, innanzitutto, va cambiato il paradigma? Voglio dire: o entriamo nella logica che siamo in un tempo in cui gli shock sono periodici e ci attrezziamo, oppure se sopravviviamo a questa crisi, soccomberemo alla prossima.

La ripresa di tavoli ha prodotto alcuni risultati come l’aumento in busta paga da luglio di una parte dei lavoratori. E credo che dovremo proseguire in questa direzione: riforma fiscale, previdenziale e investimenti nel Mezzogiorno. È necessario che il governo si convinca che per cambiare il paese ha bisogno del mondo del lavoro e delle parti sociali.

Il limite, secondo me, è che ci muoviamo quasi in un’ottica “fordista”, all’interno di un mondo globalizzato in cui il capitalismo transita nell’esistenza delle persone, e genera dinamiche inedite: i tavoli nazionali, le crisi come eccezione e non come regola. È una fragilità culturale innanzitutto, o no?

In parte sì: il nodo che viene al pettine è l’idea che il mercato libero senza vincoli era la soluzione. Il problema è la frantumazione sociale e la riduzione del lavoro a merce. Sicuramente c’è bisogno di un nuovo paradigma che rimetta al centro le persone e i diritti come nuova bussola economica e sociale.

Torniamo ai numeri. Un conto è quanto stanzia il governo, un conto è quel che serve. Lei che ha antenne sull’economia reale ha stimato quanto occorrerebbe per fronteggiare l’emergenza?

Io credo che mai come adesso valga la regola d’oro di non dare i numeri. Mettiamo al centro gli investimenti per ricerca, innovazione, qualità del lavoro. E apriamo un confronto su una vera visione di scelte strategiche e programmazione.

Questa crisi colpisce in in modo frontale il terziario più che il manifatturiero, dunque i lavoratori senza diritti e senza tutele, dai riders agli stagionali nel settore del turismo. Le misure sulla Cassa integrazione previste dal governo non li toccano. Che vi aspettate?

Siamo di fronte a un cambiamento di paradigma. Non c’è un prodotto che non abbia bisogno dei servizi e viceversa. Oggi c’è un’emergenza, noi ci aspettiamo provvedimenti che tutelino il reddito di tutte, dico tutte, le forme del lavoro e una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali.

Lei insiste sempre sulla necessità di investimenti. La verità è anche che soldi ci sono e non si sanno spendere anche a causa del ginepraio burocratico. Perché su questa emergenza non si può seguire il “modello Genova”, tutto in deroga?

Ci vuole attenzione a generalizzare quel modello. Se il problema è la riduzione delle forme di burocrazia io sono assolutamente d’accordo. Se qualcuno però pensa che c’è bisogno di introdurre una legislazione speciale attraverso la nomina dei commissari e la manomissione di regole che rendono trasparenti gli appalti non sarei d’accordo. La logica del subappalto e del massimo ribasso è stato il guaio di questi anni. Vanno invece rafforzati i sistemi di sicurezza e di qualità del lavoro. E, dentro questo schema collegare gli sgravi fiscali e contributivi collegandoli all’applicazione dei contratti nazionali.

Quali sono gli investimenti che ha in mente per far ripartire il Pil?

Sono quelli per le infrastrutture verdi: manutenzione del territorio, messa a norma di edifici pubblici, rigenerazione urbana delle grandi città, compresa la manutenzione delle reti autostradali. Allo stesso tempo c’è tutto il tema della transizione digitale e l’idea di costruire un sistema di imprese a rete.

A Conte chiederà una cabina di regia. Che cosa significa concretamente?

Da un lato un più forte coordinamento tra i diversi ministeri, ad esempio, far lavorare il ministero dello Sviluppo con i Trasporti e con l’Università e non pensare alle crisi come a un semplice accompagnamento dei processi. E dall’altro è utile costruire una vera e propria agenzia per lo sviluppo, per indirizzare gli investimenti pubblici.

Ricapitoliamo in sintesi l’elenco delle cose che chiederete a Conte.

Misure per tutelare il reddito di tutti i lavoratori coinvolti. Assunzioni nel servizio sanitario pubblico. Una strategia per lo sviluppo. Continuare nelle riforme a partire da quella fiscali. Per cominciare!

Dunque anche un aumento della spesa sanitaria?

Sicuramente sì. Un primo risultato lo abbiamo ottenuto nella legge di stabilità cancellando il super-ticket e stanziando due miliardi sulle infrastrutture sanitarie. È sotto gli occhi di tutti in queste ore la differenza tra la sanità pubblica e un sistema americano. Penso sia indispensabile tornare a investire nel pubblico, nelle infrastrutture ma anche nella promozione e nella qualificazione del lavoro pubblico. Non sono i fannulloni che molti volevano farci credere, come si vede in queste ore.

Non si pente di aver difeso “quota cento” e vedere che adesso vanno richiamati i medici in pensione?

Se c’è una cosa di cui mi pento è di aver fatto pochi scioperi contro la riforma Monti-Fornero che è stata pessima. Sui medici si pone un tema: Salute e Università si impegnino, da subito, a superare il numero chiuso dei medici e stabiliscano, da subito, i bisogni per i prossimi anni. E poi si smetta con il precariato!

Oggi il direttore di Repubblica, ha chiesto, nel suo editoriale, che gli esponenti più autorevoli delle istituzioni parlino al paese con serietà, dopo giorni di disordine istituzionale e di confusione mediatica. È d’accordo?

C’è un problema della politica che deve sapere rassicurare, misurare le parole, coordinarsi tra diversi livelli istituzionali, ma c’è anche un tema di qualità dell’informazione in quanto tale. Anziché ingenerare il panico tutti dovrebbero essere impegnati a dare una dimensione corretta di quel che sta accadendo.

Landini, il governo ha fatto un casino: non puoi ingenerare allarme, poi dire “state tranquilli”.

Dalle mie parti si dice che per fare un fosso ci vogliono due rive. Questa esperienza deve ingenerare una riflessione.

Suggerirà al premier di parlare di più nelle sedi istituzionali e meno in tv, come sta facendo il ministro della Salute?

Io credo che il messaggio deve essere futuro e coesione. Ha presente quella canzone famosa “We are the world”? Ecco, il senso della riunione di domani dovrebbe essere quello: un video a tante voci, in una direzione comune.

L’HUFFPOST

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