Coronavirus, la ripresa e i suoi quattro nemici
di Angelo Panebianco
Negli anni che seguirono la Seconda guerra mondiale, i Paesi sconfitti e che avevano anche subito le più pesanti distruzioni, Germania, Giappone, Italia, conobbero uno sviluppo economico più elevato dei vincitori di quella guerra. Si chiama «effetto Fenice»: la mitica creatura che risorge dalle proprie ceneri. È lecito sperare che alla rapidissima distruzione del tessuto economico prodotta dal coronavirus segua un’altrettanto rapida ricostruzione. Ma non ci sono garanzie: l’«effetto Fenice» potrebbe essere contrastato e al limite annullato da potenti forze contrarie. Nell’Apocalisse di Giovanni non c’è soltanto la peste fra i cavalieri di sventura. Nel nostro caso sono almeno quattro le forze che potrebbero mettersi di traverso e bloccare la rinascita del Paese: lo spirito di fazione, la tentazione statalista, la «gabbia d’acciaio» burocratica, il panpenalismo.
È bello raccontarsi, nei momenti di sventura, che una nuova solidarietà si è affermata nel Paese ed è consolante vedere quante persone si prodighino, facciano sacrifici e corrano rischi per aiutare gli altri. Si può anche pensare, in quei momenti, che lo «spirito comunitario» (qui siamo tutti fratelli) stia soppiantando il tradizionale spirito di fazione (qui siamo tutti nemici). Purtroppo lo spirito di fazione non può essere facilmente sconfitto. Governo e opposizione, in un frangente come questo, non si scontrerebbero frontalmente se non sapessero che i rispettivi seguaci, o almeno i più assatanati, non ne vogliono sapere del «volemose bene», vogliono le solite risse da saloon. È vero, non siamo certo la sola democrazia nella quale lo spirito di fazione sia molto forte. Ma qualcosa di speciale lo abbiamo. Ad esempio, chi sta all’opposizione in Italia (chiunque sia) non ha remore ad attaccare il governo del proprio Paese nelle sedi internazionali o sovranazionali in cui sia presente. O ancora, se un giornale tedesco non vuole che si diano soldi all’Italia perché potrebbero finire in mano alla mafia, non fa che ripetere quanto in sedi europee hanno detto italiani eccellenti (ivi compreso il capo del partito del nostro attuale ministro degli Esteri).
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