Coronavirus, perché tanti morti in Lombardia? Le 6 domande inevitabili

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Coronavirus, perché tanti morti in Lombardia? Le 6 domande inevitabili

L’andamento dei contagi in Lombardia

Sarebbe ragionevole che il governatore Attilio Fontana e il suo assessore alla Sanità Giulio Gallera spiegassero onestamente perché in Lombardia c’è stato, e continua ad esserci, un numero di decessi così alto rispetto al Veneto e all’Emilia-Romagna, dove l’epidemia è partita quasi contemporaneamente. Non lo giustifica il fatto che il 25 febbraio ci fossero 231 contagiati contro i 42 in casa Zaia e i 26 in casa Bonaccini. L’epidemia si è allargata alla velocità della luce e a oggi sono morti 11 lombardi ogni 10 mila abitanti, contro i 6 dell’Emilia Romagna e i 2 del Veneto. Dai dati dell’Istat e del ministero della Salute, emerge che a Milano stanno morendo quotidianamente 90 residenti contro i 30 dell’anno scorso, a Bergamo 21 contro 4, a Brescia 20 invece di 5. (Qui tutti i bollettini della Protezione civile)

Le Rianimazioni in crisi

Il sistema ospedaliero, dove pubblico e privato sono stati nel corso degli anni messi sullo stesso piano, va subito in crisi. A ridosso del 21 febbraio, con i posti letto delle Terapie intensive sottodimensionati (8,5 su 100 mila abitanti contro i 10 dell’Emilia e del Veneto) e il 30% in gestione alla Sanità privata convenzionata, la Regione deve contrattare la loro attivazione con gli ospedali privati in un momento in cui il fattore tempo è determinante. Mentre tutti gli sforzi si concentrano nel potenziare il sistema ospedaliero davanti all’ondata di pazienti in gravi condizioni, ai primari non arrivano disposizioni chiare e al personale medico mancano i dispositivi di protezione (qui lo speciale «La parola alla scienza»).

La sorveglianza territoriale

Intanto la Regione Lombardia abdica al ruolo di sorveglianza dei contagi sul territorio, dove è cruciale rintracciare e accertare un’eventuale positività dei cittadini a rischio, perché vicini a colleghi di lavoro e familiari ammalati. Per loro non è sempre previsto il tampone, e i contatti stretti troppo spesso non sono neppure chiamati dalle Asl (ora Ats) per il monitoraggio della quarantena.

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