Mes, il direttore Regling: «Prestito? Per l’Italia non sarà un’altra Grecia. Coronabond, serve tempo»
Alcuni temono che la condizionalità sul
prestito sia a due stadi: all’inizio il Mes chiede solo che si spenda
per i costi della pandemia, dopo esigerà riduzioni del deficit. È così?
«Credo
ci sia stato un malinteso. La condizionalità concordata all’inizio non
cambierà durante il periodo nel quale la linea di credito è disponibile.
L’Eurogruppo lo chiarisce, dicendo che il solo requisito per ottenere
il prestito è nel modo in cui si spende il denaro. In seguito, tutti gli
Stati membri dell’Unione europea restano impegnati a rafforzare i loro
fondamentali in base al quadro di vigilanza europeo, inclusa la
flessibilità. L’Eurogruppo dice anche questo. Ma chiaramente non è una
condizione per il prestito. Qualunque preoccupazione possa esserci
stata, va messa da parte».
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Il versamento verrebbe fatto in una volta sola o per tranche?
«Possono esserci tranche, ma di norma l’esborso avverrebbe in un anno».
Con quali scadenze di rimborso?
«Su questo si sta ancora discutendo».
Il Pandemic Crisis Support è parte di
una linea di credito Mes menzionata dalla Banca centrale europea nei
suoi manuali: se un Paese la attiva, la Bce può decidere di intervenire
comprando i titoli di quel governo in modo illimitato, se necessario. È
il famoso scudo a difesa dei Paesi più fragili. Lei come legge queste
regole?
«Il Pandemic Crisis Support è basato su questa nostra
linea di credito, la Enhance Conditions Credit Line (Eccl). E lei
correttamente cita quello strumento della Bce, le Outright Monetary
Transactions (Omt), considerate legittime dalla Corte di giustizia
europea e dalle Corti costituzionali di vari Stati membri. Dunque sono
disponibili. Quando quello strumento fu creato, la Bce chiarì che una
condizione necessaria per attivarlo è che un Paese sia in un programma
del Mes, inclusa un’Eccl. Spetta solo alla Bce decidere quando
eventualmente attivarlo. Al momento potrebbe non essercene bisogno, ma
le cose possono cambiare. I mercati sono molto volatili in questa fase».
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Lei pensa che se un governo accetta
questo nuovo prestito del Mes possa rafforzarsi sul mercato, perché gli
investitori iniziano a temere che la Bce intervenga in sua difesa?
«I
grandi investitori capiscono bene come funzionano le Omt della Bce e
sanno che un programma del Mes è una condizione necessaria, ma non
sufficiente. Lo prenderebbero in conto nel guardare alla situazione».
Cosa significa?
«Che la decisione spetta solo al Consiglio direttivo della Bce».
Regling, lei sa che in Italia c’è molta
diffidenza verso il Mes. Si rende conto che la reputazione della sua
istituzione nel nostro Paese è macchiata da come è stata gestita la
Grecia?
«All’epoca i problemi non furono causati da uno choc
inatteso che riguarda tutti, come oggi, ma da errori di politica
economica del decennio precedente. I Paesi che ebbero bisogno del Mes
avevano perso accesso al mercato e avevano grossi problemi
macroeconomici. Non solo la Grecia, anche il Portogallo, l’Irlanda,
Cipro. Avevano deficit di bilancio e negli scambi con l’estero fra il
10% e il 15% del Pil. Curare quei problemi ha causato le difficoltà che
la popolazione ha dovuto patire. Ma è stato inevitabile. Anzi quando il
Mes è arrivato ha reso l’aggiustamento più facile, perché i prestiti
avevano scadenze lunghe e interessi bassi, e credo che ora se ne vedano i
risultati positivi. Il più importante è che quei Paesi siano potuti
restare nell’euro».
L’Europarlamento propone che siano spesi
tutti i 410 miliardi di euro del Mes adesso, non i 240 messi a
disposizione. Che ne pensa?
«L’ultima parola è dei ministri
finanziari dell’area euro, al momento però mi pare corretto da parte
nostra offrire 240 miliardi. Fa parte di un insieme concordato
dall’Eurogruppo che vale fino a circa 500 miliardi, o il 4% del Pil
dell’area euro. Ora siamo nella prima fase della crisi, ma sappiamo che
ci sarà una seconda fase molto importante, quella della ripresa, che
sarà lunga e costosa. Per allora avremo bisogno di quantità di denaro
importanti e dobbiamo iniziare a vedere come le varie istituzioni
possono contribuire. Cosa può fare la Banca europea degli investimenti,
cosa può fare la Commissione con il bilancio europeo».
Il bilancio Ue con il quadro pluriannuale 2021-2027 permette di spendere i primi soldi, se va bene, fra più di un anno. Intanto il Pil dell’area euro sarà già crollato drammaticamente. Italia, Francia e Spagna chiedono di raccogliere risorse già in estate emettendo eurobond o coronabond. Hanno ragione?
«Vorrei dire anzitutto che quel che abbiamo già deciso aiuta di più i Paesi che hanno meno risorse e soffrono di più da questa crisi. Io credo che avremo bisogno di nuovi strumenti e forse anche di nuove istituzioni per sostenere la fase di ripresa, ma vorrei che tutti fossero consapevoli che ci vuole un po’ di tempo. Se si decide per esempio di emettere coronabond, in qualunque forma, non arriverà denaro prima del prossimo anno. Lo so dalla mia esperienza nel costruire il Mes».
Lei dice che l’Eurogruppo ha già impegnato 500 miliardi. Ma quanto deve spendere l’Europa per contrastare questa crisi?
«Difficile dirlo per ora. L’Fmi prevede una recessione del 7,5% nell’area euro, ma dice anche che potrebbe essere anche peggio».
Avrà in testa una cifra minima…
«Direi
che per la seconda fase abbiamo bisogno di almeno altri 500 miliardi
dalle istituzioni europee, ma potrebbe essere di più. Per quello
dobbiamo discutere con la mente aperta di nuovi strumenti, ma anche
usare le istituzioni esistenti, perché è sempre più facile. Inclusa
soprattutto la Commissione e il bilancio Ue. Un ripensamento dei fondi
europei può contribuire molto a tenere insieme l’Unione europea».
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