Le Regioni e la pandemia
di Sabino Cassese
Si susseguono giudizi negativi sull’operato delle Regioni. Una volta queste valutazioni facevano parte del conflitto tra centro e periferia. Ora vedono contrapposte anche le Regioni tra di loro, persino quelle gestite dalle stesse forze politiche. L’istituto regionale ha retto alla pandemia? Quale bilancio trarre da mezzo secolo di storia regionale italiana? Erano state disegnate come enti con compiti legislativi, perché esercitassero normalmente le loro funzioni amministrative delegandole a comuni e province o avvalendosi dei loro uffici: così disponeva la Costituzione. Sono invece diventate corpi amministrativi, anche per colpa dell’alluvionale, straripante legislazione nazionale. Le leggi regionali sono poche, interstiziali e per lo più ripetitive, in barba alla differenziazione che l’autonomia comportava. L’energia delle Regioni è per tre quarti assorbita da compiti amministrativi, principalmente nel campo sanitario.
Dovevano essere la palestra per la formazione di una classe dirigente politica nazionale, che sapesse gestire oltre a dilettarsi di schermaglie e intrighi politici. La fucina della nuova politica ha funzionato solo in pochi casi. I politici regionali si sono allineati a quelle grandi forze centralizzatrici che sono i partiti politici. La situazione è stata aggravata dalla presidenzializzazione regionale del 1999 (elezione diretta dei presidenti), che ha prodotto uno squilibrio tra governo nazionale istituzionalmente forte e politicamente debole, da un lato, e vertice regionale politicamente forte ma finanziariamente debole, dall’altro. Così abbiamo visto i presidenti regionali ogni giorno in televisione, in colloquio con il proprio popolo e in polemica con il governo nazionale (ma finendo ora sul banco degli accusati).
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