Salvini non ha i pieni poteri nemmeno a Destra

La questione più di fondo, che non riguarda il potere interno, però è altra. Caldoro è alla sua terza candidatura. Nel 2010 fu eletto presidente, proprio contro De Luca, alla guida di una coalizione trainata dal Pdl, senza la Lega che a quei tempi non si presentava al Sud. Nel 2015, sempre contro De Luca, perse. Ora la terza, sfida simbolo di una inamovibilità del potere del Mezzogiorno e della tendenza feudale delle leadership locali. Fitto, già governatore in quota Forza Italia nel 2010, perse con Vendola nel 2005, ma ha mantenuto sempre un forte radicamento. Il suo ritorno non è una novità, ma è già una vittoria morale: pressoché cacciato da Berlusconi quando ne sfidò la monarchia, osteggiato da Salvini che ha provato financo a candidare uno dei tanti giovami che Fitto, come si suol dire, ha fatto crescere, adesso i sondaggi che indicano che è una candidatura che può vincere.

Parliamoci chiaro, i nomi certificano un gigantesco problema di classe dirigente di Salvini al Sud, che è mancato lì dove la Lega sovranista e nazionale aveva scommesso. In Calabria non ha sfondato, anzi perse dieci punti rispetto alle Europee risultando il terzo partito, in Campania, di fronte all’afflusso di personaggi chiacchierati legati al mondo che fu di Nicola Cosentino ha dovuto spedire come commissario l’ex sottosegretario all’Interno Nicola Molteni e non ha inciso nella scelta del candidato, in Puglia lo stesso ceto politico buono per tutte le stagioni, dopo aver occhieggiato alla Lega, si è schierato con Fitto quando ha capito che può vincere. Per Roma non c’è una sola idea, mentre il mondo che conta – le imprese, le professioni, il mondo del civismo – già punta sul Pd dopo gli anni del disastro Raggi. Quello che emerge è il limite dello schema populista e del “partito del leader”, che prescinde dal tema della selezione e della costruzione della classe dirigente. Il che vale a livello locale, col ritorno di figure già note di altri partiti ma anche al livello nazionale. Non è questione all’ordine del giorno, perché non si vota per le politiche, ma semmai dovesse accadere anche in questo caso un blocco politico che esprime il 40 per cento e passa di consensi non ha una squadra pronta a governare il paese, come accadde, ad esempio nel 2008: da Tremonti a Maroni, da Sacconi a Frattini a Ronchi.

Più volte in questi anni il Sud, il cui voto è diventato volatile dopo la fine della grande spesa pubblica e, con essa, di una rete di consenso organizzato, è stato anticipatore di fenomeni e linee di tendenza nazionali. Nel Sud partì e poi declinò il renzismo, nel Sud iniziò prima l’onda e poi la risacca dei Cinque stelle, nel Sud, dopo la valanga alle europee e alle amministrative dello scorso anno, sembra già essersi arrestata l’espansione leghista, intesa come plebiscito. Forse sta anche qui la ragione di queste candidature, nel venir meno di una certa forza d’urto. Se uno non ha candidati forti, non ha neanche la forza di imporli. 

L’HUFFPOST

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