Recovery fund, come spendere i soldi: vigilanza e rapidità i vincoli

La sfida dei contenuti

Il punto A19 delle conclusioni del vertice si precisa che questi devono «coerenti» con le priorità europee (ambiente e digitale) e con le raccomandazioni che la Commissione invia ai Paesi, perché gli investimenti devono «rafforzare il potenziale di crescita e di creazione di posti di lavoro». Ora, le raccomandazioni rivolte all’Italia quest’anno sono specifiche: «Migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della pubblica amministrazione». Sul secondo punto il governo ha fatto qualcosa (non molto, come ha spiegato sul «Corriere» il professor Sabino Cassese), mentre il primo fuori dal dibattito pubblico. Nel resto d’Europa si capisce che la riforma del sistema giudiziario in Italia si scontra con profonde resistenze sociali e di gruppi d’interesse. Ma rinviarla o farla solo di facciata taglierebbe il Paese fuori dal Recovery Plan.

La vigilanza europea

I piani di riforma e investimento così come la loro esecuzione per tappe (i cosiddetti obiettivi e le «milestones», le «pietre miliari»), che permettono di ricevere gli esborsi, saranno controllati dalla Commissione. La quale però chiederà conferma a un comitato formato dai vertici del Tesoro dei 27 governi che, se insoddisfatti delle misure o dei programmi di un certo Paese, possono bloccare i versamenti del Recovery Plan con il semplice voto contrario di 13 su 27 Paesi (purché questi rappresentino almeno il 35% della popolazione europea). Ci sarà dunque una vigilanza diretta degli altri governi sull’esecuzione di ogni passaggio. Un sistema del genere rende l’influenza della Germania significativa perché, date le dimensioni e il peso politico del Paese, per Berlino organizzare una minoranza di blocco (se vuole) sarebbe relativamente facile.

Il freno d’emergenza

Rutte ha poi ottenuto che un governo, se insoddisfatto dei piani e delle riforme approvate da un altro, possa chiedere di sospendergli versamenti per tre mesi e di discutere «in modo esauriente» del caso al successivo Consiglio europeo. Il leader del Paese oggetto dei sospetti subirebbe così una sorta di messa in stato di accusa di fronte agli altri leader nazionali. Non si tratta di un diritto di veto, perché spetta sempre alla Commissione decidere. Ma è un «freno di emergenza» che rischia di avvelenare i rapporti fra governi, con attacchi reciproci. Di certo il Recovery Fund è un’occasione per rimettere in piedi l’Italia che non si ripresenterà. Ed è un cambio di stagione nel modo creare e condividere la sovranità in Europa, con debito comune per redistribuire risorse e tasse comuni per finanziarlo. Purché in Italia si colga che il cambio di stagione deve arrivare – subito – anche qui.

CORRIERE.IT

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