I fragili confini del nostro Paese

Si può, però, avere una vera politica di inserimento e di integrazione. Si possono creare forme di immigrazione legale. Si può sconfiggere, anche a casa nostra, i complici dei trafficanti di esseri umani. Si possono contrastare, dicendo la verità, le strumentalizzazioni della destra e la passività della sinistra. Si deve ricordare che le gesta durissime del Salvini ministro non hanno avuto risultati che non fossero di tutta la sponda Nord del Mediterraneo in quel periodo, e che il ministro disertava regolarmente le riunioni europee sulle migrazioni salvo poi accusare a gran voce l’Europa di averci abbandonati.

Si può spiegare che il «blocco navale» è un atto di guerra, e funziona soltanto se si è pronti a sparare su chi vuole violarlo. Davvero la nostra Marina o altre Marine europee aprirebbero il fuoco contro i barconi? No, salverebbero i migranti in pericolo come impone il diritto del mare, moltiplicando così le partenze. Efficace per molti versi è stato il ministro Minniti sulla Libia, ma il Pd non ha voluto o saputo valorizzare quei progressi presso l’opinione pubblica. E oggi il segretario Zingaretti, come la ministra Lamorgese, reclamano una evacuazione umanitaria dei campi di prigionia e di tortura che sappiamo esistere in Libia. Ma siamo consapevoli che per fare ciò, visti gli interessi in gioco, serve una massiccia operazione militare? Oppure crediamo di poter convincere l’Onu a impiegare i suoi Caschi Blu? La realtà è che l’unica via forse percorribile nella Tripolitania di oggi per far cessare lo scandalo di quei campi è di rivolgerci ai turchi e di pregarli di esercitare pressioni sui libici di Serraj che a loro tutto devono. Come del resto facciamo in campo energetico, e come dovremmo fare per le partenze dei migranti.

La Tunisia è una questione diversa, anche se non raggiungerà mai il potenziale destabilizzante della Libia. Quelli tunisini sono palesemente migranti economici, e non è soltanto un barboncino subito strumentalizzato a dircelo. Il Covid-19 ha dato il colpo di grazia a una congiuntura anche politica molto instabile, e chi può pagarsi il passaggio guarda una carta e prova a raggiungere Lampedusa. Ma con Tunisi l’Italia ha un accordo di rimpatrio, e bene fanno Lamorgese e Di Maio ad annunciarne la stretta applicazione. Non basteranno gli aerei, però. E la minaccia di sospendere lo stanziamento di 6,5 milioni di aiuti già concordati va agitata presso il governo di Tunisi stando attenti a non stuzzicarne il nazionalismo, che potrebbe produrre effetti controproducenti. Anche qui ci vuole chiarezza: la crisi tunisina non passerà dall’oggi al domani, e potrebbe aprire nuove vie alle pressioni migratorie esterne.

L’Europa? Certo, anche all’Europa dobbiamo rivolgerci. Magari ricordando ad Angela Merkel, che non poco ci ha appoggiati in tema di Recovery fund, i tempi in cui il suo governo era favorevole a una revisione dei regolamenti di Dublino che tanto ci penalizzano. Niente illusioni, però. Dagli accordi per sostenere le economie più colpite dal virus l’Europa è uscita con nuovi orizzonti ma anche con accentuate debolezze derivanti dalla netta divisione tra franco-tedeschi e meridionali, «frugali» e Gruppo di Visegrad. Una equa e completa ripartizione di chi arriva in Italia non è all’ordine del giorno, per ora ci si dovrà accontentare delle accoglienze volontarie annunciate da gruppi di governi come già accaduto in passato. Perché i migranti, oltre alle nostre democrazie, possono travolgere anche l’Europa.

CORRIERE.IT

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