Ritorno a ottobre: tre scenari e la grande paura dell’infezione a scuola
Dicevamo della linea di positività che da giugno è tornata gradualmente a salire. Gli esperti dell’Istituto superiore e del ministero ammettono di non sapere in che condizioni arriveremo a fine estate, e prefigurano tre scenari. Il primo ipotizza una situazione sostanzialmente invariata (focolai presenti) con un impatto modesto delle scuole sulla trasmissibilità e le sue fonti d’infezione, considerate inevitabili ma tenute sotto controllo. Il secondo scenario evidenzia una situazione di trasmissibilità “sostenuta e diffusa” con Rt tra 1 e 1,25: non si riesce a tenere traccia, in questo caso, dei nuovi focolai, inclusi quelli scolastici. Infine, situazione peggiore, si contempla questa possibilità: “Situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario e valori regionali sistematicamente compresi tra 1,25 e 1,5”.
Allo stato attuale, “appare bassa la probabilità di osservare ipotesi di trasmissione caratterizzati da Rt maggiore di 1,5 per periodi lunghi (almeno un mese), ma al centro della questione c’è sempre la scuola, la grande incognita di fine estate (il 14 settembre si riparte). Epidemiologi e igienisti plurigraduati confessano di non avere un’idea di che cosa succederà: “Non è nota la reale trasmissibilità di SarsCov-2 nelle scuole, anche se iniziano ad essere disponibili evidenze scientifiche di epidemia in ambienti educativi”. Più in generale, “non è noto quanto i bambini, prevalentemente asintomatici, trasmettano il virus rispetto agli adulti”. Tutto questo, “rende molto incerto il ruolo della trasmissione nelle scuole”.
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di ELENA DUSI
La trasmissione locale in Italia è avvenuta quando, ormai, il numero dei
casi era già elevato e la situazione clinica “grave e critica”.
L’impatto in termini di morbilità e mortalità, dice il rapporto, “è stato elevatissimo“.
Al 29 luglio scorso, i casi confermati erano 246.602 di cui 34.213 i
morti (letalità complessiva, 13,9 per cento). “La gestione dell’epidemia
nei territori più colpiti è stata caratterizzata dal rapido
sovraccarico dei servizi territoriali e assistenziali: saturazione dei
posti letto, elevata necessità di materiali di consumo, attrezzature e
personale sanitario”. Ancora, “l’elevata trasmissibilità del patogeno in
contesti assistenziali” ha messo in crisi gli operatori sanitari e
trasmesso il virus “negli ospedali, in residenze socio-assistenziali, in
case di riposo”.
Pe evitare tutto questo sarà necessario: potenziare in tempi rapidi la
dotazione di posti letto in terapia intensiva e riconvertire posti letto
in terapia sub intensiva e area medica, quindi realizzare presidi di
assistenza dedicati alla gestione di casi Covid-19, formare un numero
sufficiente di operatori sanitari in grado di operare in ambiente
intensivo e rafforzare i servizi territoriali per l’accertamento,
l’isolamento, la quarantena. Dotarsi infine, dopo le infinite difficoltà
di marzo-maggio, di mascherine, kit di laboratorio, ventilatori. Il
grande buco del coronavirus italiano.
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Serve, per tutto questo, la messa a punto di un Piano operativo per “contenere eventuali focolai permettendo una stabilizzazione della trasmissione a livelli abbastanza bassi e che non determino un sovraccarico del Servizio sanitario nazionale”. Anche perché, recentemente, “è stata osservata un’importante decrescita dell’età media dei casi”.
REP.IT
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