Il Pd non trova l’anima e neanche il dna

Abbandonata la ricerca di un’anima, il Pd rivendica un dna, ma nemmeno il passaggio positivistico dallo spirituale al corporale sembra illuminare il cammino. Il taglio dei parlamentari è nel nostro dna, ha detto Maurizio Martina e ieri il segretario, Nicola Zingaretti, ha ricordato che il progetto fa parte da sempre del bagaglio riformistico della sinistra. Ed è innegabile. Si è parlato molto di Nilde Iotti, in questi giorni, per il puerile tentativo di Luigi Di Maio di stabilire una corrispondenza fra il suo pensiero (ehm) e quello di lei (che legava irrimediabilmente la riduzione della rappresentanza al superamento del bicameralismo perfetto, invece irrimediabilmente slegata dai cinque stelle, e pure dal Pd, a proposito di dna).

Quasi quarant’anni fa c’era la commissione Bozzi (dal nome del presidente, il liberale Aldo Bozzi) incaricata di svecchiare le istituzioni, e fra le varie proposte c’erano, naturalmente, il taglio dei parlamentari e il superamento del bicameralismo perfetto, ma tutto andò all’aria con la fine della legislatura. Per gli interessi genetici che stimolano questo articolo: i due antenati del Pd – la Dc e il Pci – votarono in disaccordo, a favore della bozza la prima e si astenne il secondo. Già lì il dna subiva delle ibridazioni di cui si sono visti gli effetti poi. In seguito si allestirono altre commissioni, sempre con gli antenati fra i promotori, la commissione Iotti-De Mita, la bicamerale di Massimo D’Alema, la bozza di Luciano Violante, e il dna era quello: riduzione dei parlamentari, revisione dei ruoli delle Camere, correttivi vari. Tentativi regolarmente andati a vuoto.

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