Chi prende in giro il Terzo settore? Le ipocrisie e i falsi alleati

Se la coesione terrà, se riusciremo a lasciarci alle spalle questo terribile 2020, lo si dovrà anche all’esercito del bene. Una parte del Paese che non chiede soldi pubblici, bonus, sussidi. Certo ha avuto qualche risorsa aggiuntiva, oltre il cinque per mille, ma di soli cento milioni. Per i monopattini se ne sono spesi 120 in incentivi. Ma non importa. Il Terzo Settore si sostiene soprattutto con la generosità degli italiani che non ha eguali al mondo. Le associazioni chiedono altro: considerazione della loro centralità, regole certe, attenzione programmatica.

La legge sul Terzo Settore, varata dal governo Renzi, una buona legge, è in gran parte inattuata. Non è ancora stato emanato il decreto sul Registro unico (Runts) senza il quale gli statuti già approvati restano sospesi. Non è stata ancora inviata la richiesta di autorizzazione alla Commissione europea per le disposizioni fiscali previste dal Codice del Terzo Settore. La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, non ha mai conferito ai suoi vice la delega necessaria, salvo quella, limitata all’impresa sociale, al grillino Stanislao Di Piazza. La legge che istituisce la lotteria filantropica, da tempo approvata, attende un decreto attuativo. Se fosse già operativa avremmo convogliato donazioni private (non soldi pubblici) a favore del bene comune e delle necessità di chi ha più bisogno.

Questa disattenzione, al limite della sciatteria, mette in luce una quantità di pregiudizi nei confronti del privato sociale che, ahinoi, i Cinque Stelle sono riusciti a trasferire anche al Pd. Ovvero: l’idea di fondo che sia il terreno sul quale si esercita una carità pelosa di famiglie abbienti e imprese desiderose di farsi perdonare chissà quale inadempienza se non delitto. Un’attività che il principio di sussidiarietà sottrae colpevolmente all’invadenza della politica e che, nel magico mondo ideale dei grillini, dovrebbe essere esercitata in esclusiva dallo Stato. Unico titolare del bene comune. Un pregiudizio non guidato da interessi di parte (come quelli che contrastarono a suo tempo l’istituzione delle Onlus con il progetto di Stefano Zamagni), piuttosto una diffidenza alimentata da scarse conoscenze e superficialità. Nei confronti della vasta e benemerita presenza cattolica si consuma poi un radicato sospetto, in fondo autoritario, del tutto simile a quello ben più visibile nei confronti della scuola privata. Stupisce l’accondiscendenza degli altri partner di governo, nonostante il Pd abbia dato la delega al Terzo Settore a una persona capace come Stefano Lepri.

Ma non c’è solo questo. C’è dell’altro e riguarda l’intera economia e, soprattutto, la nostra capacità nell’impiegare le risorse europee. Mentre noi non abbiamo alcuna vera delega sull’argomento, nella Commissione von der Leyen, c’è un commissario con una delega speciale all’economia sociale, il lussemburghese Nicolas Schmit. L’Action plan for social economy è parte costitutiva e qualificante della politica dell’esecutivo di Bruxelles. La distribuzione dei fondi di coesione, nel bilancio europeo 2021-27, sarà determinata dall’impegno dei Paesi membri in questa direzione. La credibilità degli investimenti che l’Italia proporrà, all’interno di Next Generation Eu, sarà legata alla capacità di promuovere interventi a favore della sostenibilità ambientale e sociale. Dimenticarsi delle tante associazioni di volontariato, che già lavorano su questo fronte, non è solo miope ma persino suicida.

CORRIERE.IT

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