I Draghi del presidente

In un certo senso va anche compreso e, almeno in parte, giustificato il presidente del Consiglio.

Nella tarda primavera di due anni fa si ritrova a guidare un Governo frutto di un’alleanza figlia delle scelte elettorali degli italiani, ma del tutto avulsa rispetto al contesto politico internazionale, con il capo del partito più votato (nonché potentissimo ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico) che dialoga con i gilet gialli e il capo dell’altro partito (nonché potentissimo ministro dell’Interno) che va a braccetto con la destra nemica mortale di Macron e Merkel. Gli tocca quindi fare una fatica immensa per diventare interlocutore credibile, dentro e fuori i confini nazionali.

Poi nella primavera di quest’anno gli tocca fronteggiare (con un’altra maggioranza, perché nel frattempo c’è stata una crisi di governo) la pandemia, esperienza di governo comunque durissima, ancorché formativa.

Al termine di questo biennio Giuseppe Conte è però un’altra persona rispetto al momento in cui ha varcato per la prima volta il portone di Palazzo Chigi.

È infatti politicamente assai più solido, è internazionalmente più conosciuto (si pensi al tweet con “Giuseppi” di Donald Trump), è più padrone della scena quando si trova in pubblico o davanti ai media.

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