Conte rivendica il risultato: «Durerò fino al 2023». Ma gli alleati già preparano il pressing su Palazzo Chigi
Ecco come si svilupperà la manovra a tenaglia su Palazzo Chigi da parte dei leader delle due maggiori forze della coalizione, stanchi di gareggiare per conto terzi. È la disputa sul programma che potrebbe quindi aprire a nuovi scenari dopo le presidenziali americane: non si tratterebbe di un rimpasto, ma — per usare le parole di un autorevole esponente dem — di una «revisione politica degli assetti di governo». Formula troppo fumosa e dagli esiti affatto scontati per non rendere Conte ancor più sospettoso di quanto non lo sia per natura. E non deve far velo il suo eloquio adulatorio, perché all’occorrenza — è già accaduto — sa come avvisare gli alleati che si appellerebbe alla pubblica opinione in caso di sgambetti. Ma il premier al momento non ha motivo di sentirsi minacciato, visto il responso delle urne. Ed è nelle cose che davvero possa durare «fino al 2023».
C’è però un motivo se resta sempre all’erta, ed è per via dell’intesa tra Di Maio e Zingaretti sulla legge elettorale: perché il proporzionale non contemplerebbe un candidato premier, e dunque decreterebbe anzitempo il superamento della sua esperienza. Il problema si affronterà più avanti, siccome per Conte sono altre le insidie nascoste nell’altra faccia delle medaglie di cui si è cinto. Il taglio dei parlamentari decretato dal referendum, combinato con il disastroso risultato del Movimento alle Regionali, rischia di destabilizzare ulteriormente i gruppi grillini, consapevoli che nella prossima legislatura saranno decimati. E allora la priorità di palazzo Chigi è verificare la fondatezza di certe voci, che vogliono il centro-destra all’opera per una campagna acquisti al Senato, lì dove la maggioranza è risicata e da ieri ha perso un altro seggio, visto l’esito delle suppletive in Sardegna.
Palazzo Madama è per i giallo-rossi una sorta di Fortezza Bastiani, il punto di osservazione di manovre politiche spesso annunciate e mai avvenute. Peraltro il voto di ieri — che pure segna per l’opposizione la conquista di un’altra regione e rimarca la sua superiorità numerica nel Paese — ha prodotto scorie tra i leader di centro-destra. Eppoi provare la strada delle elezioni anticipate, sapendo che non sono nel novero delle opzioni, sarebbe velleitario. Ma proprio perché il ritorno alle urne non è possibile, nella stabilità caotica della maggioranza c’è il rischio di incidenti che potrebbero rovinare la festa. E ieri Conte ha festeggiato: «Durerò fino al 2023».
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