Tesori sommersi: dove sono, quanto valgono e a chi appartengono

Nel 2003 in Indonesia fu scoperto il relitto di Ciberon, il cui sfruttamento era stato dato a una società privata belga che ha raccolto 500mila pezzi di porcellana cinese del X secolo, ma ne ha distrutti la metà perché non in perfette condizioni, e venduto il resto sul mercato d’arte internazionale. Lo stesso è successo in Mozambico su diversi relitti portoghesi al largo di Ilha de Mozambique, completamente spogliati del loro carico di preziosi manufatti storici, o a Panama sul relitto del San José, un galeone spagnolo affondato nell’arcipelago di Las Perlas nel XVII secolo, dal quale sono spariti migliaia di manufatti d’argento con gravi danni alla struttura del relitto.

Chi sono i cercatori di tesori

Fino agli anni ‘90 i cacciatori di tesori erano per lo più avventurieri, spesso ex marinai britannici o americani, che saccheggiavano siti archeologici poco profondi, e gli oggetti preziosi finivano all’asta da Christie e Sotheby. Poi le nuove tecnologie e conoscenze hanno cambiato il panorama. Sono comparse le prime società e i casi si sono moltiplicati. Il più delle volte si tratta di missioni in perdita, ma i cacciatori di tesori non vivono di quanto trovano, bensì dei soldi dei loro investitori. Secondo l’Unesco queste imprese praticano spesso frodi, evasione fiscale e riciclaggio di denaro.

Il saccheggio

La Convenzione del 2001 punisce il saccheggio. Uno dei casi più controversi è stato quello del relitto della Nuestra Señora de las Mercedes, affondata nel 1804 al largo dello Stretto di Gibilterra, ritrovata e spogliata del carico nel 2007 dalla Odyssey Marine. La Spagna avviò subito una battaglia giudiziaria conclusa nel 2012: la società non aveva alcun diritto sui manufatti e doveva restituire le quasi 600.000 monete d’oro e d’argento (17 tonnellate) alla Spagna. Secondo recenti ricerche archeologiche ci sono prove di saccheggi su almeno il 60% di 22 relitti della battaglia navale dello Jutland avvenuta durante la Prima Guerra Mondiale.

Nel mondo poca collaborazione

La Convenzione Unesco ha imposto regole contro il traffico illecito e l’obbligo per gli Stati aderenti ad attuare la protezione in situ, cioè in fondo al mare, ma non esiste ancora un database generale di questi relitti. Uno dei Paesi più organizzati è la Francia che ha mappato 200mila relitti nelle proprie acque. Anche la Cina ha un team tecnologicamente avanzato del cui lavoro, però, si sa poco. Il governo americano ha mappato i relitti nelle acque di propria competenza e ha pubblicato i dati in un database che è fruibile online. Uno degli studi più importanti degli ultimi anni è l’Inventario dei naufragi spagnoli al largo delle Americhe, redatto nel 2019 dalla Direzione generale del Patrimonio Storico del ministero della Cultura spagnolo. Il documento ricostruisce la posizione, le cause e i carichi preziosi di 681 vascelli, galeoni e navi spagnole naufragate nelle Americhe dal 1492 al 1898, l’80% dei quali è inesplorato.

In Europa lo studio più accurato è il Machu (Managing Cultural Heritage Underwater), finanziato da fondi europei, iniziato nel settembre 2006 e concluso nel 2009. Il progetto ha coinvolto Belgio, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Svezia e Regno Unito per lo studio dei fondali e mappatura lungo le rotte marittime costiere tra i diversi Paesi. Il governo olandese poi ha continuato il percorso della mappatura arrivando a pubblicare un proprio database con i relitti olandesi. C’è anche un sito privato a pagamento, registrato in Belgio, che si presenta come il più grande archivio mondiale, con i dati di 195.070 relitti, 167.950 posizioni individuate e 67.120 immagini.

In Italia pochi fondi

L’Italia, nonostante sia insieme alla Francia uno dei pionieri dell’archeologia subacquea, il capitolo di spesa del Ministero è di appena 120mila euro per il triennio 2019/2021, e di 1,9 milioni sul biennio 2019/2020. A questi si aggiungono i fondi delle Soprintendenze regionali, ma hanno una struttura apposita e nuclei subacquei dedicati solo il Lazio, la Liguria, la Campania e la Sardegna. La Sicilia è l’unica ad avere la Soprintendenza del mare fin dal 2004. Al momento gli unici due studi di mappatura (Archeomar 1 e 2) hanno riguardato i fondali di Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Lazio e Toscana. È stato scandagliato quasi il 50% delle acque marine di competenza e censiti 754 tra relitti e siti archeologici subacquei. A questi si aggiungono i 1.500 censiti autonomamente dalla Regione Sicilia, in assoluto più all’avanguardia. Progetti realizzati grazie ai fondi europei che in questo settore il nostro Paese usa diffusamente: 8,3 milioni negli ultimi 6 anni.

Cosa abbiamo trovato nel nostro mare

Nelle acque di Gela sono stati scoperti 80 lingotti di oricalco, una lega simile all’ottone, ma che nell’età arcaica era un metallo raro, prezioso e di grande bellezza, com è oggi l’oro. Un rinvenimento eccezionale perché sono stati trovati pochissimi reperti al mondo di questo materiale e tutti di piccole dimensioni. A Marzamemi gli scavi stanno restituendo una chiesetta bizantina in marmo. Ma i reperti più importanti sono gli elmi in bronzo, 20 del III secolo AC, e i rostri navali nella Battaglia delle Egadi: individuati 22 e 18 già portati a terra e restaurati. Dopo il restauro due dei rostri hanno rivelato iscrizioni puniche, per cui è stato possibile aprire uno squarcio sul mondo letterario e organizzativo cartaginese, così poco conosciuto per la mancata conservazione di testi. Intanto gli archeologi subacquei continuano a immergersi per cercare altri reperti che non arricchiscono solo i nostri musei, sono anche un contributo importantissimo per lo studio della ingegneria navale antica.

Il nostro più grande tesoro: l’Ancona

Anche dal punto di vista del valore economico, il più grande tesoro è quello del piroscafo Ancona, affondato da un sommergibile tedesco U-38 nel 1915 fra Sicilia e Sardegna, in corrispondenza di Capo Carbonara, mentre era in viaggio per New York.

A bordo c’erano 12 casse con una tonnellata di sovrane d’oro, più un quantitativo imprecisato di argento. Il valore del carico, oggi, è stimato oltre 50 milioni di euro solo per il peso del metallo prezioso. Ufficialmente erano i fondi per pagare la partecipazione dell’Italia all’Esposizione Universale di San Francisco, ma molto probabilmente si trattava della prima tranche per l’acquisto di cavalli, muli, foraggio e armi a seguito dell’entrata in guerra contro l’Austria-Ungheria. La Odyssey Marine ha cercato di aggiudicarselo, ma senza esito. Una corte americana ha stabilito che se vuole tentare il recupero deve prima avvisare lo Stato italiano.

DATA ROOM DI MILENA GABANELLI

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