L’indifferibile necessità di una destra liberale
Per un residuo di senso del ridicolo, e considerati i precedenti, non parlerei di rivoluzione liberale. Oltretutto che liberali in Italia si dicono in molti, ma lo sono in pochi, e però il risultato del referendum e delle elezioni regionali non annunciano la fine del sovranismo e del populismo – lo spiega bene oggi Giovanni Orsina sulla Stampa – ma ne segnalano difficoltà e limiti non da poco.
A sinistra, con prudenze qui e là sovrabbondanti – e al prezzo di riforme pessime, come il taglio dei parlamentari praticato con denti aguzzi, o agghiaccianti, come il sequestro dei cittadini attraverso processi senza prescrizione, o come il totalitario annullamento della loro privatezza confiscata via trojan – il Pd è riuscito a portare i cinque stelle dai gilet gialli ad Angela Merkel. A pensarci vien quasi da ridere: da uscire dall’euro subito, slogan dei bei tempi piazziaioli, a prendersi gli euro subito, nella quantità di 209 miliardi. E il premier espresso dal grillismo, Giuseppe Conte, che diventa la marmorea garanzia del nostro ormai irrinunciabile europeismo. Non è poco. Restare agganciati all’Europa non è garanzia soltanto per i conti.
Ma a destra? Il lento, lungo, a questo punto esasperante declino di Forza Italia non è una giustificazione per il silenzio dei liberali, chiamiamoli così, dei cattolici adulti, dei post socialisti, o per accontentarsi di qualche voce solitaria spersa nel chiasso. Non ha nessun senso restare a ruota del sovranismo salviniano e meloniano, replicare le dinamiche fiacche del bipolarismo destra/sinistra: qui si è saldi nell’opinione che il nuovo bipolarismo è fra chi considera le istituzioni il luogo sacro, al di là di chi le abita, della democrazia liberale occidentale, e chi le considera lo sfondo per il selfie. I tanti, a destra, esausti dello strepito antieuropeista (noi siamo parte, non controparte dell’Unione, la soluzione è tutta lì), della desolante retorica autarchica, dell’uso feroce e propagandistico dell’immigrazione, del rinfocolamento programmatico delle paure popolari, della promozione della giustizia come strumento di vendetta e afflizione retributiva, dello Stato onnivoro e onnipresente, compreso lo Stato imprenditore, i tanti convinti che la globalizzazione non è una scelta, ma una condizione irrimediabile e dunque irrinunciabile, e va governata perché rifiutarla è una fantasia da imbonitori, convinti che i vari pistoleri della democrazia, da Putin a Orban a Erdogan a Xi Jinping, vanno tenuti il più possibile alla larga, ecco, tutti questi hanno spazi non ancora maggioritari ma immensi e, senza metterla giù troppo dura, hanno anche qualche dovere.
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