Il federalismo virale
Assieme a Giuseppe siederà in consiglio regionale anche Raffaele Maria Pisacane, figlio di Michele, parlamentare che nell’indimenticabile 2010 entrò nel gruppo dei responsabili per correre in soccorso al governo Berlusconi, il gruppo di Razzi e Scilipoti, per intenderci. Dieci anni fa, ai tempi d’oro, sua moglie fu eletta a sostegno di Caldoro nelle liste dell’Udc.
Insomma, proprio “come Cristo comanda”, parafrasando il protagonista di questa storia, il cui elettorato solo per un quinto aveva votato Pd alle Europee. Per concludere il quadro, le liste, diciamo così, moderate hanno preso più del dieci per cento della coalizione, quelle a sinistra del Pd hanno fatto solo un po’ di colore.
Proprio come nella Puglia di Michele Emiliano, dove per la prima volta in consiglio regionale non c’è un solo uomo legato a Nichi Vendola ma, in compenso, è ben rappresentata la lista di Massimo Cassano, una vita in Forza Italia, poi sottosegretario con Alfano, nominato commissario straordinario dell’Arpal, l’agenzia per il lavoro, uno di quei carrozzoni regionali pieni di soldi che in campagna elettorale hanno macinato assunzioni. Cassano è il capo dei Popolari per la Puglia, lista nella quale è stato eletto anche Gianni Stea che, dopo essere passato dal centrodestra al centrosinistra, è diventato assessore all’Ambiente. Nelle liste del Pd è stata eletta invece Anna Maurodinoia, molto vicina all’ex presidente della provincia di Bari Mario Schittulli (centrodestra) e detta “lady preferenze” per la sua capacità di portarle ovunque si candida: al comune di Bari, dove è consigliere in carica, come al consiglio regionale. Eletto nelle liste di Emiliano Alessandro Delli Noci, che nasce anche lui come “centrista” del centrodestra, ma proprio un veto di Fitto nella sua corsa a sindaco di Lecce lo porta ad appoggiare l’attuale sindaco di centrosinistra. Dai ben informati viene dato come possibile vicepresidente della giunta con deleghe allo Sviluppo.
Dunque, benvenuti al Sud. Poi proseguiremo il viaggio anche al Nord, nella ancora rossa Toscana dove invece ha tenuto un modello di partito e di coalizione più classico e meno personale, quella sì una franca e schietta vittoria della sinistra, o nella Liguria di Toti e nel Veneto del neo doge Zaia, la cui lista ha preso tre volte i voti della Lega. Assodato che il governo è stabilizzato, che il Pd chiede la svolta, che Conte va adelante, ma con juicio, assodata la vittoria dei governatori uscenti, che hanno gestito l’emergenza in fasi drammatiche, c’è da capire i modelli che esprimono. C’era una volta il “partito dei sindaci” (ricordate i famosi “cacicchi”?), nell’era della grande destrutturazione dei partiti, negli anni Novanta: il maggioritario, l’elezione diretta, il rinnovamento, il civismo, i professionisti del civismo, la suggestione del “sindaco d’Italia”. Adesso ci sono i governatori, nell’epoca in cui il Covid ha congelato il paese, rafforzando il potere di chi ha le leve del potere ed è in grado di affrontare i problemi che l’emergenza pone, in una fase di destrutturazione dello Stato: le mille ordinanze per chiudere, i confini alle regioni, le discoteche, le duemila ordinanze per riaprire, insomma una sorta di “federalismo virale” di fatto.
Questo vale per tutti, da Nord a Sud, da Zaia e Toti, da De Luca a Emiliano. Poi ci sono le contraddizioni col quadro nazionale. Perché a questo punto bisognerà spiegare a Toti e Zaia e ai ceti produttivi del Nord il no al Mes, l’antieuropeismo, la retorica dell’Europa matrigna, il populismo sovranista. E spiegare, al contrario, al Pd che il populismo clientelare di Emiliano e di De Luca, con le sue mal celate ambizioni nazionali rappresentano certo una vittoria formale ma, nella sostanza, accelerano la crisi, intesa come un “federalismo di fatto”, nell’epoca dei partiti deboli e delle istituzioni fragili. Solo per immaginare chi comanda davvero, immaginate la discussione sulle liste in Puglia e Campania, con meno posti da distribuire, ora che è passata la riforma sul taglio dei parlamentari. Catapultare qualcuno da Roma, come è successo in passato, significa correre il rischio di trovare un blocco ai confini, come se fosse un ammalato di Covid.
L’HUFFPOST
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