Boss scarcerati per l’emergenza Covid, Bonafede: “Non decide il ministro chi deve rientrare in cella”
Le misure adottate hanno evitato un contagio che sarebbe stato dannoso non solo per chi sta in carcere, ma anche per tutto il sistema sanitario. Perché era un quadro in cui morivano le persone e gli ospedali erano in crisi di posti. Un focolaio in un carcere con centinaia di persone coinvolte sarebbe stato una apocalisse. Il dovere di un ministro è fare di tutto per garantire le misure sanitarie, che in carcere sono un intreccio non sempre coordinabile tra coté sanitario e coté penitenziario. L’attenzione è tuttora altissima”.
Rispetto alle scarcerazioni, il ministro 5S ha chiarito: “Voglio dire una volta per tutte: nella vita si possono avere opinioni differenti, ma c’è una realtà data dal quadro normativo e che è sotto gli occhi tutti sancito a livello costituzionale. L’autonomia dei magistrati è scritta nella Costituzione, è una base della nostra democrazia e del funzionamento della giustizia. Di fronte alle polemiche, per un ministro che giura sulla Costituzione, è un dovere riferire al Parlamento, al quale ho fornito tutti i dettagli possibili sulle rivolte e sulle scarcerazioni. Ma le domande non si possono trasformare in illazioni che evocano qualcosa”.
Quindi, prosegue Bonafede, “le inchieste giornalistiche sulle scarcerazioni hanno avuto il loro merito. Ma c’è un momento in cui la politica non può mettere dentro qualsiasi cosa. Bisogna essere chiari una volta per tutti: a livello internazionale ci si muoveva con provvedimenti orizzontali per ridurre il sovraffollamento, fino ad arrivare all’indulto, applicabili quindi a chiunque. Invece questo governo ha deciso di escludere non solo i detenuti condannati per reati gravi, ma anche chi aveva avuto sanzioni nell’ultimo anno, o era soltanto stato coinvolto nelle rivolte. La volontà del governo, quindi, non è equivocabile. Mettiamo fine allo scempio della disinformazione”
Secondo il Guardasigilli “il governo ha messo nero su bianco che il decreto Cura Italia non doveva essere applicato ai mafiosi o ai detenuti coinvolti nelle rivolte. Ho voluto – ha proseguito – che il governo desse una risposta, creando un nesso tra i decreti e le rivolta. Tant’è che, nel Cura Italia, ho chiesto di prevedere i braccialetti elettronici, che nessuno prima aveva chiesto di rendere obbligatori. Io non posso commentare le decisioni dei magistrati. Se lo facessi, voi stessi direste che non posso farlo. Ma questo governo, a fronte di decisioni nelle quali non voglio entrare, ma che potevano avere conseguenze che questo Paese non può permettersi, poiché si parla di determinati detenuti, ha approvato dei decreti che rispettano il perimetro costituzionale, ma dicono che tutti quei detenuti devono essere rivalutati. Si può fare un conto giornalistico, rispetto la libertà di informazione – conclude Bonafede – ma in Italia non è consentito a un ministro della Giustizia stabilire chi deve entrare in carcere, il decreto infatti stabilisce che chi era uscito doveva tornare davanti al magistrato per una nuova valutazione”.
La polemica sulle circolari
Bonafede nella sua relazione non si sofferma in modo particolare sulla
circolare del 21 marzo e sulle relative polemiche. La inserisce nella
serie di circolari che “l’amministrazione penitenziaria, in concomitanza
con l’emergenza epidemiologicaha emanato già a partire dal 22 febbraio
tese a disciplinare le modalità di entrata e di uscita dagli istituti
penitenziari; i meccanismi di pre-triage e di isolamento sanitario volti
a limitare occasioni di contagio all’interno delle carceri; le modalità
di acquisto dei prodotti necessari per fronteggiare l’emergenza; le
modalità inerenti i colloqui visivi dei detenuti, nonché quelli
telefonici e video-colloqui, sia con i congiunti che con i difensori; le
modalità inerenti la tutela del diritto allo studio; l’elaborazione di
protocolli operativi con le ASL locali”.
E qui inserisce la ben nota circolare del 21 marzo, “la segnalazione
all’Autorità Giudiziaria dei dati dei ristretti connotati da particolari
patologie o condizioni personali, secondo le indicazioni dell’autorità
sanitaria”. Bonafede fa seguire poi le altre circolari “sulle
indicazioni da adottare in caso di sospetto contagio e di esecuzione del
tampone; le procedure per l’incremento del numero e per una più celere
installazione dei braccialetti elettronici per l’esecuzione della
detenzione domiciliare; nonché i meccanismi finalizzati a garantire
protezione e sostegno economico agli appartenenti alla polizia
penitenziaria e al personale”.
Effetti del Covid oggi
Al 29 settembre i detenuti che risultano positivi al Covid sono 20, di
cui – dice Bonafede – “solo uno ricoverato in una struttura ospedaliera
esterna”. Tra il personale dell’amministrazione invece, alla stessa
data, “sono 57 quelli affetti dal Covid, 55 sono in isolamento presso la
propria abitazione e 2 presso le caserme degli istituti”.
Effetti del Covid nella fase acuta
Bonafede riferisce che “al picco dell’emergenza, a maggio 2020,
risultavano accertati solo 115 casi di positività tra le persone
recluse, di cui una ricoverata in strutture sanitarie esterne, su una
popolazione di oltre 50mila detenuti”. Solo un detenuto è deceduto in
carcere e “due ulteriori decessi sono avvenuti per detenuti già ammessi
alla detenzione domiciliare concessa in data antecedente alla loro
positività e uno relativo a una persona con sintomi da Covid, seppure
negativa al tampone”. Tra il personale, “sonno stati 159 i casi di
positività a fronte di 40.751 persone in servizio”. Due hanno perso la
vita, Gianclaudio Nova e Nazario Giovanditto.
I dati sul carcere
Il Guardasigilli fornisce i dati sulla situazione delle carceri, “al 31 agosto, presso gli istituti di pena, erano presenti 53.921 detenuti, rispetto alle 61mila unità dei primi giorni di marzo”. Quanto agli agenti, “a fronte della dotazione organica di 41.595, sono effettivamente presenti 37.347 unità, con una carenza complessiva di 4.248 unità, pari al 10,21% dell’organico previsto. È prevista l’assunzione di 970 agenti e di 650 allievi agenti”.
REP.IT
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