I ritardi sul Recovery Fund rilanciano il Mes, nel governo è scontro Gualtieri-Zingaretti
Con sfortunato tempismo a inizio settimana Conte e Gualtieri hanno provato a far prevalere le ragioni del no. Zingaretti – che la fuga l’aveva fatta dalla parte opposta – l’ha vissuta come un affronto. Al di là del timore per la tenuta della maggioranza, Gualtieri deve evitare l’ulteriore esplosione del debito. Ecco perché al Tesoro puntano tutto sui 65 miliardi a fondo perduto a cui avrà diritto l’Italia. Qualunque altro prestito è nuovo disavanzo, persino l’uso dei fondi Mes per rendicontare spese già effettuate o comunque messe a bilancio. Zingaretti, che come tutti i governatori ha da spendere otto euro su dieci in sanità, il sì al Mes ha un valore simbolico. Speranza ha un obiettivo in più: aumentare il volume complessivo dei fondi. Gualtieri spiega a tutti che con i rendimenti sotto all’1% il Mes permetterebbe di risparmiare 250 milioni di euro l’anno rispetto a normali emissioni di obbligazioni. «A che pro rischiare per così poco?». Risponde Luigi Marattin, pasdaran messanico: «Abbiamo tagliato 345 parlamentari per risparmiare 50 milioni l’anno, non si vede perché rifiutare il Mes per cinque volte tanto».
La questione che separa davvero i due partiti è però un’altra: che ne sarebbe della maggioranza nel momento in cui il Parlamento dovesse esprimersi. Benché si tratti di un prestito senza condizionalità, i grillini ne fanno una questione ideologica: il fondo salva-Stati evoca la Grecia e le vecchie politiche di austerità. Gli antimessianici sono certi che il disagio di Di Battista e dei suoi è incontrollabile. I messianici sono convinti viceversa che il timore delle urne – e la probabilità di non essere rieletti – spingerebbe la gran parte di loro a votare l’invotabile.
Per Conte la faccenda è sempre più scivolosa. Anche ieri, al termine della due giorni di Bruxelles, ha evitato di rispondere sul Mes: lo slittamento del Recovery spingerà Roma ad attivare il prestito sanitario? «L’Italia non permetterà a nessuno di alterare o procrastinare l’entrata in vigore del Recovery». E ancora, a sera: »Concentriamoci sui contenuti del piano sanità piuttosto che sul sistema di finanziamento». Peccato che il problema sia esattamente quello: scegliere una strada. Benché Conte minacci, a Bruxelles c’è poco da fare: basta che un solo Stato si metta di traverso dentro al Consiglio perché si blocchi tutto. Il vertice ha confermato che ce ne sono almeno sei (escludendo la Polonia) pronti a tenere in ostaggio il Recovery, seppur per ragioni opposte.
Il pomo della discordia è il meccanismo che lega l’esborso dei fondi al rispetto dello Stato di diritto: per l’ungherese Viktor Orban quello proposto dalla Germania è troppo rigido, mentre per l’olandese Rutte e per gli altri leader nordici è troppo blando. Angela Merkel ne ha parlato a colazione con David Sassoli e ha incassato l’impegno del Parlamento di Strasburgo a lavorare sulla bozza tedesca. Gli eurodeputati si accontenteranno di massimo dieci miliardi in più nel bilancio per finanziare i programmi Erasmus, Horizon, Salute e Immigrazione. «La richiesta iniziale dei negoziatori era di 113 miliardi» ricorda un diplomatico. Fonti europee assicurano che il ritardo sulla tabella di marcia è ormai certo: «Nella migliore delle ipotesi chiuderemo i negoziati all’inizio di novembre». Poi ci vorranno le ratifiche dei Parlamenti: due mesi e mezzo al Bundestag, ancora di più nell’Olanda del falco Rutte, dove a marzo si vota per le politiche.
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