Quanto vale un’azienda? Il profitto non basta più, serve la «reputazione verde»
di Ferruccio de Bortoli
Ci fu un momento, prima che esplodesse la bolla dei titoli tecnologici, agli inizi del secolo, in cui Tiscali valeva più della Fiat. In una società che allora, ma in parte anche oggi, faticava a cogliere valore nell’immaterialità, ciò sembrò del tutto incomprensibile. Bastava che un’azienda avesse nel marchio anche un pur vago riferimento alla Rete (accadde per Basicnet, ramo tessile) per far schizzare in alto le quotazioni. Lo sgonfiamento della bolla dei titoli tecnologici riavvicinò le aspettative alla realtà. Non pochi rimasero con il cerino in mano.
Il peso di Musk
Ci si interroga oggi, ma è solo un esempio anche se il più eclatante, sul reale valore di Tesla, la società di Elon Musk, fondata nel 2003, che produce anche auto elettriche, la cui capitalizzazione si è avvicinata ai 400 miliardi di dollari. Il rendimento annuo dell’azione è intorno al 700 per cento. Se fosse ancora vivo l’inventore del motore elettrico, il croato naturalizzato statunitense Nikola Tesla, ne sarebbe orgoglioso. Un po’ meno vedendo le peripezie anche giudiziarie del gruppo che porta il suo nome di battesimo, Nikola, specializzato nei veicoli commerciali a trazione ovviamente elettrica. Galileo Ferraris, padre italiano del motore elettrico, è stato un po’ dimenticato. Ingiustamente. Il valore del marchio del suo cognome si sovrappone però a un mito delle quattro ruote, non certo silenzioso. E il nome, be’ non ne parliamo. Curiosità della storia.
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