Quanto vale un’azienda? Il profitto non basta più, serve la «reputazione verde»
Il tasso di mortalità
Tesla vende ancora poche auto e il suo fatturato non sembra giustificare una simile stratosferica valutazione, ma qual è e come può essere misurato l’effetto disruptive delle sue innovazioni che stanno rivoluzionando il paradigma della mobilità, costringendo un’intera industria a riscrivere i propri piani di sviluppo? Quando si apre un nuovo mercato, grazie alla tecnologia, si schiudono orizzonti di crescita e profitto prima sconosciuti. Il tasso di mortalità dei soggetti è elevatissimo, la selezione brutale. L’importante è provarci, crederci. E la serietà dei propositi e la competenza degli imprenditori sono già di per sé un grande valore.
Il serbatoio dell’Aim
Di aspiranti Tesla in giro per il mondo ce ne sono tantissime. All’Aim, il mercato delle piccole e medie imprese innovative — tanto per fare un esempio italiano — è quotata Energica, una società di Modena (ovviamente) che produce moto elettriche molto apprezzate nel mondo. La lista d’attesa è di alcuni mesi. Il bilancio è in perdita, ma le aspettative sono elevate. E nell’automotive il nostro Paese ha ancora buone carte da giocare.
Un’utile guida per comprendere la profondità di questo passaggio storico è il libro Valutazione d’azienda nel mondo Esg (Egea), scritto da Carlo Bellavite Pellegrini, Maurizio Dallocchio ed Enrico Parazzini. Il mercato non dice sempre la verità. Cresce la dimensione immateriale del business. E, di conseguenza, il peso delle aspettative, condizionate dalla velocità della tecnologia. Ma aumenta, nel contempo, anche il pericolo delle false rappresentazioni. Tra sogno e realtà vi sono immense praterie sconosciute nelle quali abbondano i cespugli delle scommesse virtuose ma anche i rovi delle trappole speculative. «Le crisi finanziarie di questi ultimi anni — argomenta Bellavite Pellegrini, ordinario di Finanza Aziendale alla Cattolica — hanno fortemente intaccato la convinzione che la libera contrattazione dei titoli azionari a diritto di voto pieno esprimesse correttamente il valore delle imprese. Lo studio illustra le motivazioni che rendono preferibile l’adozione dei criteri basati sulla logica dei flussi di cassa attualizzati ma giustifica, in alcune circostanze, una divergenza, a volte anche significativa, tra i valori espressi dal mercato e il valore intrinseco, fair value, di un soggetto innovativo, responsabile, sostenibile». Con la crescente importanza dei fattori Esg (Environmental, social and governance) è come se si tornasse a una dimensione neoclassica della teoria del valore nella quale risalta la percezione della scarsità delle risorse, non solo naturali. I criteri fondamentali per le valutazioni delle aziende vanno rivisti anche per sfuggire a conformismi e paradossi.
L’eccesso di liquidità
Fino al 2008, per esempio, un intermediario finanziario con un multiplo inferiore all’uno veniva giudicato di fatto fallito. «L’eccesso di liquidità — è l’opinione di Dallocchio, ordinario di Finanza aziendale alla Bocconi — ha drogato un po’ tutti i mercati e quando la capitalizzazione delle Borse mondiali eccede il prodotto lordo globale c’è qualcosa che non va. Crescono i rischi che si formino delle bolle; la volatilità è alta. Una volta un rapporto tra prezzo e utili superiore a 10 sembrava un’esagerazione, oggi molte delle aziende quotate al Nasdaq hanno multipli tra i 15 e 20 se non di più. Le aziende cosiddette growth, legate alla crescita, tendono ad essere valutate meglio di quelle che mostrano valori stabili e tangibili. I coefficienti Esg premiano, anche dal punto di vista di un minor costo del capitale, le imprese più resilienti, attente alla sostenibilità delle loro produzioni nel medio e nel lungo periodo. E d’altro canto non è dimostrato che le imprese con alti «voti Esg siano più redditizie. Ma sono più durevoli e meno rischiose. Un investitore accorto non può non tenerne conto».
Il consenso
«Le imprese non sono avulse dalla società che le circonda — aggiunge Parazzini, ex manager di Pirelli e Telecom e docente alla Sda Bocconi — hanno il dovere di rispondere ai loro azionisti, di remunerare correttamente il capitale. La rilevanza dei temi di sostenibilità, ambientale e sociale, e di governance, ovvero di rispetto dei diritti individuali, della parità di genere, non consente più, come una volta, di distinguere tra stakeholder, clienti e fornitori, e i cittadini. Gli stakeholder sono tutti. La reputazione assume un’importanza decisiva. Più un’azienda è in sintonia con la comunità che la circonda più esprime un valore intrinseco che forse il mercato prima o poi premierà». Una riflessione opportuna anche alla luce del grande dibattito sulla finalità (purpose) di una società per azioni, che appassiona i giuristi di tutto il mondo e ha già portato a significative riforme dei codici civili in alcuni Paesi. Di fronte al declino della shareholder value di Milton Friedman e all’affermazione dei criteri Esg ci domandiamo se sia ancora attuale l’articolo 2247 del nostro codice civile sul contratto di società («Due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili»). Lo scopo oggi non è solo quello. O almeno non dovrebbe essere solo quello.
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