Terapie intensive, test e bus: si è perso tempo. Siamo in emergenza per colpa dei ritardi
TOMMASO STRAMBI
Il tempo è tutto. Ma non è infinito. Già. Eppure quanto ne abbiamo perso in questi ultimi quattro mesi. A fine primavera il New York Times aveva elogiato l’Italia per per la capacità dimostrata nel contenere la pandemia. Finalmente avevamo sconfitto i soliti luoghi comuni di ’mangiapasta’ e ’mafiosi’ per assurgere al rango di modello da imitare. E, a settembre, dopo le vacanze, nel vedere le nazioni intorno a noi assediate dalla ripresa dei contagi ci siamo crogiolati nell’idea di essere diventati immuni. Che illusione! Il pericolo era solo dietro l’angolo. Così, in men che non si dica, ci siamo trovati dai 4.458 nuovi contagi dell’8 ottobre scorso ai 19.143 di ieri (quasi 5 volte tanto) con un balzo del tasso di positività dal 3 al 10,5%. E anche il numero dei morti è tornato a salire dai 22, sempre, dell’8 ottobre scorso ai 91 delle ultime 24 ore. Cosa andava fatto e non è stato fatto? Gli scienziati ci avevano avvertito: “in autunno ci sarà una nuova ondata”. “Dobbiamo attrezzarci per tempo (neanche a dirlo, ndr)”, avevano tuonato. Invece nulla.
I tamponi
Rispetto a sei mesi fa sono stati compiuti passi da gigante: dai 45-50mila effettuati ad aprile si è passati agli oltre 182mila di ieri. Ma quanta fatica. Ci sono regioni, a cominciare dal Lazio e dalla Campania, dove prima di eseguire il test si arrivano a fare anche 10-12 ore di fila. E, cosa ancora peggiore, dal momento della richiesta – del medico di famiglia o dell’Asl – possono passare anche quattro o cinque giorni. Così c’è chi è costretto a emigrare nelle città o nelle province vicine, come è accaduto in Toscana.
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