La corsa per Roma/ Lo strumento delle primarie un danno per la democrazia

di Massimo Martinelli

A poche settimane dall’inizio della campagna elettorale, Roma è tornata alla casella di partenza. Il centrodestra è senza un candidato unitario; il centrosinistra ha ricevuto molti “no, grazie” dagli esponenti di punta del partito e fatica ad accettare l’idea di un candidato come Carlo Calenda che, pur provenendo dal mondo della sinistra, non è esattamente espressione del Pd romano. 

L’unico (apparente) elemento di novità in questa partenza al rallentatore sembra essere l’annunciata nascita di una “nuova area” politica “socialista e cristiana” da parte di quello che viene considerato come il king maker del pd romano, Goffredo Bettini, suggeritore delle strategie politiche del primo Veltroni fino allo Zingaretti dei nostri giorni.

Il progetto politico, per quello che è possibile capire dalle prime dichiarazioni, è però per niente nuovo. E soprattutto, a saper leggere tra le righe, spiega perché il Pd romano si ostina a issare lo strumento delle primarie come una bandiera identitaria alla quale nessuno deve sottrarsi, neanche uno che avrebbe qualche chance di vittoria come Carlo Calenda. Ebbene Bettini annuncia una corrente (anche se non vuole che sia definita così) “aperta all’esterno e pluralista”, in altre parole inclusiva, che dia a tutti una possibilità.

E’ la politica del “dare a tutti un po’” per rabbonire le masse, per guadagnarsene la riconoscenza, per controllarne poi il consenso al momento del voto. E’ la vecchia politica delle tessere di sbardelliana memoria. 

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