Il Covid frena Milano: dai bar alla moda, danni all’economia per 10 miliardi. Le sfide da cui ripartire
Un’area con l’8% degli abitanti del Paese produce il 13% del Pil. Ma questo vale anche in negativo, quando si ha a che fare con la crisi. L’Italia quest’anno produrrà 180 miliardi di ricchezza in meno, e di questi circa 23 saranno dovuti al mancato contributo dell’area metropolitana milanese. D’altra parte la pandemia è spietata con il macrosettore dei servizi. Mettendo insieme fiere, eventi, alberghi, shopping di abbigliamento, pubblici esercizi, la perdita stimata di fatturato tra febbraio 2020 e febbraio 2021 supera i 10 miliardi. Si va oltre gli 11 miliardi aggiungendo il settore degli spettacoli.
Quanto perdono hotel, fiere, moda
Nel 2019 le 33 mila stanze degli hotel di Milano costavano in media 125 euro a notte al netto dell’Iva, ed erano occupate al 75%. Per il 2020 Federalberghi stima 100 euro a notte e solo il 20% delle stanze sarà venduto. La perdita è di 1,5 miliardi. Fiera Milano spa, controllata da Fondazione Fiera Milano in cui sono rappresentati Regione, Comune e associazioni delle imprese è passata da5,4 euro per azione di fine febbraio ai 2,1 di venerdì scorso. Secondo Francesca Golfetto, esperta del settore fieristico, il volume d’affari generato a Milano dalle fiere è di 3 miliardi. A fine anno il 70% mancherà all’appello: circa 2,1 miliardi. Bisogna poi aggiungere gli «eventi individuali»:i grandi marchi scelgono Milano per la presentazione dei prodotti, dal rossetto al telefonino. Qui il fatturato perso sarà di 1,4 miliardi su 2,1 totali. Milano è la città della moda: i dati di Vodafone analytics dicono che nel mese di agosto in via Montenapoleone le persone in giro per shopping erano il 54% in meno rispetto ad agosto 2019. Secondo la stima di Federmoda-Global Blue, i mancati acquisti di abbigliamento degli italiani e dei turisti sta producendo una perdita su Milano di 3,7 miliardi, e in città sono a rischio chiusura 350-400 punti vendita su oltre 2500.
Ogni giorno 82 mila pranzi in meno
Lockdown e coprifuoco hanno sacrificato anche i pubblici esercizi. Per l’anno che va da febbraio 2020 a febbraio 2021 Fipe Confcommercio stima a Milano 1,9 miliardi di fatturato in meno. Ben 195 mila euro al giorno si perdono soltanto per i mancati pranzi al bar di circa 82 mila lavoratori che a inizio ottobre si erano aggiunti a coloro che già lavoravano da casa. Oltre 20 mila al giorno i pasti in meno nelle mense aziendali. Non a caso il sindaco di Milano Beppe Sala dopo il lockdown aveva richiamato tutti in ufficio.
Secondo un’indagine della Cisl Lombardia, prima dell’emergenza, in città il 13% dei dipendenti(154 mila persone) lavorava già saltuariamente da casa. Una volta tornati alla normalità, lo smartworking a Milano potrebbe riguardare 543 mila lavoratori in più. Intanto, con l’emergenza che morde, i grattacieli del centro occupati da Unicredit, Bnp Paribas, Generali sono semivuoti. E poi c’è il settore dello spettacolo (dalla Scala, ai musei, ai concerti) che ogni anno stacca 27 milioni di ingressi, e genera un volume d’affari di circa un miliardo. Il 70% è andato perduto. Parallelamente i pubblici esercizi e negozi dell’hinterland hanno registrato un incremento di fatturato, dovuto ai consumi di quella massa di dipendenti che, lavorando da casa, non spendono più in centro città. Questo mutamento, che non sarà transitorio, prospetta in futuro una nuova rivitalizzazione delle periferie.
I punti di forza che non cedono
La crisi sanitaria un giorno finirà, e ripartire non sarà banale, ma la caratteristica che rendono Milano attrattiva, ovvero la più grande concentrazione di imprese innovative, riemergerà. Il capitale di conoscenza creato dalle nove università del territorio non ne ha risentito: i primi dati quest’anno segnalano immatricolazioni in aumento. Il mercato immobiliare tiene: i prezzi del metro quadrato, grazie anche ai bassi tassi di interesse, si prevedono stabili anche nella prima metà del 2021. Nonostante lo choc che ha dimezzato le quotazioni di Borsa dei grandi sviluppatori immobiliari, la città continua ad attrarre i capitali internazionali. La settimana scorsa Hines e Cale Street (fondo del Kuwait), per esempio, hanno messo mezzo miliardo sul progetto Milano-Sesto. Gli esperti in campi diversi, dal sociologo Aldo Bonomi all’economista di Berkeley Enrico Moretti, sono convinti che Milano non si svuoterà con la fuga verso i paesini di provincia, ma di certo bisogna disegnare un nuovo modello di sviluppo per la città. E quindi da dove si comincia?
Le sfide da cui ripartire
In una società dove aumentano le disuguaglianze e si punta ad avere tutto a portata di mano nel giro di un quarto d’ora, la prima sfida sarà quella di riqualificare le periferie. A cominciare dai grandi quartieri di edilizia residenziale pubblica (Milano ha il più grande patrimonio di case popolari in Italia in proporzione alla popolazione). Alcuni sono fatiscenti e andranno ricostruiti. Anche i capitali privati potrebbero essere coinvolti. Investire sulle periferie vuole dire migliorare le condizioni di vita di tutti coloro che fanno funzionare la città ma non possono permettersi un affitto in centro: dai commessi, ai tranvieri, agli addetti a pulizie e consegne. Dalla grande sperimentazione dello smartworking imposta dal lockdown non si torna indietro. Gli uffici quindi dovranno ridimensionarsi e riorganizzarsi, ma aumenteranno i coworking e a domanda di appartamenti più grandi. Per quel che riguarda i trasporti Milano può diventare una città a impatto zero, modernizzando rete e mezzi, ma anche coordinando meglio la gestione tra le aziende sul territorio per arrivare al biglietto unico sull’area metropolitana.
Anpal: Milano è la sede naturale
Milano non è riuscita a conquistare l’Ema — l’agenzia europea per i medicinali —, ora ci sta provando con il tribunale europeo dei brevetti. È arrivato il momento di guardare anche all’Italia. A luglio i posti persi nell’area metropolitana erano 40 mila, ma con la fine del blocco dei licenziamenti, tutto il Paese si troverà a gestire una situazione difficile.
Milano è la città del lavoro: avrebbe senso trasferire qui l’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive, visto che non ha mai seriamente iniziato a lavorare. Avrebbe senso inoltre basare a Milano un paio di «cabine di regia» tecniche del ministero dello Sviluppo economico: quella sulla digitalizzazione del sistema produttivo e sull’economia circolare. Il motivo? Gran parte delle competenze sono qui. Nulla però avverrà per caso, tutto dipenderà dalla capacità di visione sul futuro della città. E su questo si giocherà la corsa a palazzo Marino del prossimo anno. dataroom@rcs.it
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