Sintomatici e ricoverati, chi sono e perché rischiano di saturare gli ospedali
Tra i numeri dell’epidemia ce n’è uno che in questa fase della seconda ondata preoccupa particolarmente, alla voce «ricoverati con sintomi». Si tratta dei pazienti che per varie ragioni non possono stare a casa, ma non richiedono neppure la terapia intensiva. Ieri erano 13.955, su un totale di 255.090 positivi (circa il 5 per cento). I reparti degli ospedali si avviano verso la saturazione, se non ci sarà un rallentamento nella diffusione del virus. Che cosa sta succedendo? «Il rapporto tra ricoveri ordinari e ricoveri in intensiva per Covid è di 10 a 1 — sottolinea Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao (il principale sindacato di medici e dirigenti della sanità pubblica) —. È evidente che siamo di fronte a una situazione problematica». Le Regioni che superano il migliaio di «ricoverati con sintomi» sono quattro: Lombardia, Piemonte, Lazio e Campania.
Reparti riconvertiti
I posti letto Covid ordinari sono 15.422 in tutta Italia (escludendo le terapie intensive e sub intensive): negli ospedali, a seconda delle necessità, interi reparti vengono riconvertiti a Sars-CoV-2, dalla pneumologia alla medicina interna. Ovviamente questo significa chiudere le aree a tutti i malati non Covid. Non solo: come accaduto nella prima ondata, diverse Regioni impiegano alberghi per la quarantena dei pazienti meno gravi che non possono essere isolati a domicilio.
Questione psicologica
Perché oggi abbiamo così tanti ricoverati «ordinari», rispetto a marzo-aprile? «Le ragioni sono numerose — sottolinea Luca Richeldi, direttore dell’Unità di Pneumologia al Policlinico Gemelli di Roma e membro del Comitato tecnico scientifico —. I pazienti vengono individuati nelle prime fasi dell’infezione e abbiamo individuato farmaci efficaci nel fermare o rallentare l’avanzare della malattia. Ma i motivi sono anche altri: molte persone con sintomi vanno direttamente nei Pronto soccorso, senza contattare telefonicamente il medico di famiglia, come viene invece ripetuto fin dall’inizio dell’epidemia. E c’è una questione psicologica molto seria: i soggetti positivi al coronavirus hanno paura, arrivano in ospedale in una condizione psichica particolare. Le attività non-Covid, come la cardiologia e l’oncologia, stanno già risentendo del peso crescente sulle strutture sanitarie».
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