Il pranzo di Natale
di Alessandro D’Avenia
«Dobbiamo stabilire il menù di Natale». Era una battuta classica nella mia famiglia, pronunciata nei momenti meno adatti: il 26 dicembre quando ci stavamo ancora riprendendo dalle fatiche culinarie del giorno prima, il 25 giugno perché avevamo solo un semestre per prepararci, il 15 agosto perché stavamo perdendo tempo in altri pranzi invece di occuparci dell’Unico Grande Pranzo, che coinvolgeva tutti i parenti (famiglia siciliana…), ognuno dei quali doveva contribuire alla grande sinfonia di sapori, seguendo docilmente chi dirigeva l’orchestra con piglio sicuro: mia madre. Quest’anno il pranzo di Natale sarà in tono minore, ma rimane fermo che almeno in questa occasione il cibo debba essere arte e grazia, perché noi umani non stiamo a tavola solo per nutrirci ma per le relazioni che stringiamo a tavola. E in un’epoca in cui siamo ossessionati dal risparmiare tempo, le feste possono restituirci un rapporto buono proprio con il tempo e con le cose, e quindi con le persone. Per questo mi è ritornato in mente Il pranzo di Babette della scrittrice danese Karen Blixen, un piccolo capolavoro che racconta che cosa sono il cibo, la grazia, l’arte e la civiltà, attraverso un Unico Grande Pranzo.
Babette Hersant è una cuoca francese in fuga da Parigi a causa della rivoluzione durante la quale il marito e il figlio sono stati uccisi. Trova rifugio in uno sperduto paesino norvegese di poche anime, come governante di due sorelle nubili, cresciute nel gelo della natura e nel rigore della religione luterana della comunità fondata dal padre, per la quale il cibo è funzionale solo a nutrirsi e il corpo una bestia da tenere a bada. Babette crede in un Dio diverso, che si è fatto carne ed è venuto tra gli uomini con un corpo come il nostro: il suo primo segno pubblico è stato infatti, quasi costretto dalla madre, trasformare acqua in ottimo vino proprio durante un pranzo… Il motto di Karen Blixen era «a Dio piace scherzare»; e un Dio, che fa vino superlativo per gente già alticcia, ha buon umore oltre che buon gusto. Babette trascorre dodici anni insieme alle due austere sorelle, quando le giunge la notizia che ha vinto una lotteria alla quale un suo parente la iscrive ogni anno da quando è andata via, nella speranza che possa tornare: riceverà una somma favolosa.
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