Il pranzo di Natale

Le sorelle sono terrorizzate: perderanno la loro amata governante e amica. Babette chiede di poter preparare, in assoluta libertà, un pranzo di saluto per tutta la comunità, per il centenario della nascita del suo fondatore. Le due donne sono preoccupate per questo eccesso ma, essendoci di mezzo la memoria del defunto padre, concedono il permesso, a patto che nessuno degli invitati, durante il pranzo, commenti i piatti serviti. Dalla Francia arriva una nave con tutto ciò che Babette, per giorni, trasformerà in grazia, arte e civiltà: non si dice forse «ogni ben di Dio»? E così, durante il pranzo, gli abitanti del paesino provano sapori curati e nuovi e i loro cuori, induriti dal gelo del clima e delle loro relazioni, finalmente si sciolgono. Scoprono con stupore che spirito e materia non sono nemici, perché Dio stesso si è fatto uomo, proprio in quel primo Natale che ci regala ogni anno il tempo necessario per «sostare» e curare le relazioni: la festa è in fondo uno «spreco» di tempo, che dà il senso di gratuità di cui hanno bisogno le persone per sentirsi amate, perché amare è proprio donare il proprio tempo a qualcuno, senza rivolerlo poi indietro. Babette sottrae il cibo alla pura e semplice necessità di nutrirsi e lo trasforma in dono: calorie e calore, sapore e sapere diventano un’unica realtà.

Alla fine arriva la fatidica domanda: quando partirà? Babette risponde che ha speso tutto il premio della lotteria per quel pranzo e che ha deciso di rimanere con loro. I presenti, esterrefatti e sopraffatti da quello sperpero e da quella grazia — bellezza gratuita — chiedono perché ha deciso di rimanere povera e lei risponde: «Io sono una grande artista: un grande artista non è mai povero». Se a Dio piace scherzare allora gli piacciono gli artisti del quotidiano come Babette, perché ci sorprendono con la grazia delle loro opere, ridonandoci un mondo in cui le cose non devono essere per forza utili e il tempo non deve essere a tutti i costi accelerato e ottimizzato, ma semplicemente vissuto e donato, perché gli altri possano fermarsi a riprendere fiato. Sarebbe bello prepararsi come Babette a questo Natale (il titolo originale del racconto del 1950 era La festa di Babette e ne esiste anche una bella versione cinematografica del 1987), curando dettagli gratuiti, da veri artisti, «sprecando» tempo per e con qualcuno, i pochi con cui potremo festeggiare, in modo da dire, nei fatti: che altro c’è mai da fare se non stare qui, insieme, assaporando i minuti e i doni della vita?

CORRIERE.IT

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