Per un Paese normale serve un governo normale

Paralizzata dalla paura di scontentare qualcuno a turno, avanzando come quei goffi omini sui trampoli in equilibrio precario, la politica esita a prendere decisioni, salvo poi sbilanciarsi in improvvisati decreti che aumentano la confusione invece di dissiparla. Intanto rotolano sul tavolo manciate di ipotesi, nessuna delle quali sembra improntata alla consapevolezza dell’estrema gravità del momento: rimpasto di ministri, ancora Conte ma in una terza versione (quale?), maggioranza attuale ma con cambio di premier, un esecutivo tecnico come quello di Monti dopo la caduta di Berlusconi per un picco di febbre da spread, oppure il voto, che tanti dicono di auspicare ma che nessuno in realtà vuole.

Un Paese normale, fiaccato e disorientato da un’emergenza che non è più tale visto che dura da quasi un anno, avrebbe bisogno di una cosa sopra tutte: un governo normale, dove vengano sospesi per decreto (stavolta sì) i calcoli di convenienza da parte di ogni singolo componente e di ogni partito o corrente che lo sostenga. Un governo normale, che si dia orizzonti minimi e trasparenti. Per esempio, evitare la terza ondata del virus, cambiando passo nella strategia di contenimento della seconda. Un obiettivo, questo, che è alla base di qualsiasi progetto di ricostruzione.

Qualcosa non ha funzionato, non sta funzionando, meglio ammetterlo senza ipocrisie e sostituire chiunque abbia una qualche responsabilità nella falsa partenza che stiamo patendo. Se l’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a vaccinare appena 470 mila persone a settimana, significa che ci vorranno almeno due anni (richiami compresi) per arrivare a coprire il 70 per cento della popolazione. Un tempo troppo lungo, una mancata organizzazione troppo evidente, un rischio troppo grande per sperare di arginarlo senza drastiche correzioni di rotta. Il tempo forse c’è ancora. Quello che resta da capire è se c’è la volontà di mettere nei posti chiave, possibilmente subito, donne e uomini capaci, esperti, interessati esclusivamente al bene pubblico, dando loro la possibilità concreta di provare a salvarci la vita. In gioco c’è l’Italia che verrà. Primo passo: riconquistare la fiducia di un Paese alle soglie di un collasso nervoso.

CORRIERE.IT

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