La giusta scelta per le scuole: ripartire (subito) dai dati
Ma i focolai scolastici sono, per ammissione stessa del report, sottostimati, e non abbiamo alcuna idea di quanto. Gli studi epidemiologici italiani legati alle scuole sono deboli e controvertibili, quelli stranieri sono avvenuti in setting difficilmente confrontabili e comunque danno risultati talvolta opposti. È difficile da accettare, ma oggi, gennaio 2021, ci troviamo in una situazione di consapevolezza riguardo alla trasmissione fra la popolazione giovane non molto diversa da quella congetturale che avevamo in primavera.
Eppure, parlare di incertezza scientifica non costituisce un alibi perfetto, perché la nostra incertezza riguardo ai contagi scolastici potrebbe essere molto meno grave di com’è. Ha delle cause specifiche in ciò che non è stato fatto nei mesi passati, quando ci sarebbe stata la possibilità di attivare un sistema di monitoraggio delle scuole omogeneo ed esaustivo, accanto agli screening che in molti chiedevano. Un sistema radicalmente diverso da quello farraginoso, lacunoso e spurio messo invece in campo, che oggi ci consegna pochi dati e poco servibili. L’insistenza sulla raccolta, la pulizia e la trasparenza dei dati, con tanto di petizioni firmate da scienziati, giornalisti e altri cittadini, non era quindi un puntiglio accademico, ma forse lo si capisce bene solo oggi.
Tutto questo dovrebbe servire da monito per quanto riguarda la presenza della variante B117. Le rassicurazioni vaghe che ci vengono date hanno il sapore insipido e sospetto di altre ricevute in passato. La verità: non conosciamo la reale diffusione della variante sul nostro territorio, una variante che, è bene ricordarlo, sembra incidere significativamente sulla rapidità di contagio e potrebbe — sottolineo «potrebbe» — rendere anche i bambini vettori più efficaci. E non ne conosciamo la diffusione, di nuovo, per mancanza di dati. Per capire se un soggetto positivo sia portatore o meno della variante, infatti, occorre il sequenziamento del genoma virale ricavato dal tampone. Ma in Italia il sequenziamento viene effettuato su un numero molto basso di casi. Stando ai dati pubblici, circa la metà di quanto sequenziano percentualmente Francia e Germania. Un quinto degli Stati Uniti. Un centesimo del Regno Unito. Per sapere quali varianti sono presenti, quanto diffuse e dove prima che ci esplodano in faccia, occorrerebbe sequenziare molto di più. Invece siamo quasi ciechi sulle mutazioni del virus. Un’altra cosa che si sapeva, ma non è stata fatta.
Per ora, il poco che sappiamo e il tanto che non sappiamo ci dicono, purtroppo, che il mantra della ministra Azzolina, «le scuole sono luoghi sicuri», è privo di reale fondamento. Perché «scuola», a livello epidemiologico, significa molto più dell’ambiente classe in cui tutti sono seduti composti e distanziati con la mascherina, significa più del perimetro dell’edificio in cui si svolgono le lezioni. A più riprese ci siamo dimostrati incapaci di organizzare, perfino di comprendere, quella nebulosa complessa, perciò siamo costretti a scegliere sempre la via di maggiore cautela. Soprattutto per le scuole superiori. Fino a quando? Il criterio mancante nel dibattito pubblico potrebbe essere questo: non è ammessa scuola superiore in presenza senza un tracciamento funzionante. Aprirla da bendati è semplicemente troppo rischioso. Un incentivo in più per riprendere in mano il sistema di monitoraggio, che l’inizio della campagna vaccinale sembra aver archiviato, come se potessimo arrivare all’immunità di gregge solo stringendo i denti.
Con il suo insistere, la ministra Azzolina coglie tuttavia un punto essenziale, ovvero che le vittime designate della disfunzionalità collettiva sono, ancora una volta, i ragazzi e le ragazze delle superiori, gli stessi che hanno visto la loro routine, la loro istruzione e la loro socialità squarciate più a lungo. E che iniziano ormai a soffrire visibilmente. A tutti loro, mentre cerchiamo di riportare un minimo di controllo, dobbiamo quanto meno una riparazione. Una strategia alternativa che sia migliore di questa intermittenza snervante, migliore delle soluzioni aprioristiche e del «tutto o niente».
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