Fine del trumpismo, l’abisso evitato
Il presidente uscente è imperdonabile. Ma senza l’assalto al Congresso — state certi — qualcuno avrebbe provato a trovargli attenuanti. Lo stesso Trump avrebbe provato a usare la base dei sostenitori irriducibili per costruirsi un trampolino per tornare nel 2024, direttamente o per interposta figliola. Avrebbe raccolto fondi, creato un canale televisivo personale, sabotato la nuova amministrazione in ogni modo e in ogni momento. Proverà a farlo comunque? Certo. Ma quanti saranno disposti a dargli retta? Il partito repubblicano, davanti a Capitol Hill, ha visto l’abisso, e farà quasi certamente un passo indietro.
Questo non significa che l’America sia guarita. Ma dovrebbe aver capito che la medicina non è la follia clinica di QAnon o le battute aberranti di Rudy Giuliani, ormai l’ombra della persona che era. Donald Trump ha chiamato «patrioti» i sovversivi e vincente se stesso, sconfitto nelle urne e dalla storia. A questo punto tutto appare chiaro, anzi cristallino: impossibile non capire chi è l’uomo e qual era il suo progetto. È finito il tempo delle giustificazioni, delle attenuanti, dei distinguo. Possiamo — anzi, dobbiamo — cercare di capire il disagio di chi si sente escluso, negli Usa e non solo. Ma guai ad accettare che il disagio autorizzi un colpo di Stato.
Il trumpismo, con ogni probabilità, è finito il 6 gennaio 2021. Lo spettacolo di Donald Trump riserverà ancora qualche esibizione, nei giorni che mancano all’insediamento del successore Joe Biden e dopo aver lasciato la Casa Bianca. Ma i propositi, i metodi e i comportamenti del 45° presidente sono morti davanti alle colonne bianche del Congresso, in un pomeriggio di gennaio. Per l’America è tempo di guardare avanti.
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