Federico Caffè, il maestro di Draghi

Il 6 Gennaio 1914 nasceva Federico Caffè. I suoi testi, tra i quali ricordiamo “la solitudine del riformista” e “la dignità del lavoro” sono importantissimi. Importanti non solo per coloro che si considerano keynesiani o vogliono approfondire il pensiero di Keynes, importanti non esclusivamente per coloro che studiano economia (non solo nell’ottima facoltà di Roma Tre a Caffè intitolata), bensì importanti per capire la differenza tra coloro che hanno fatto dell’economia una materia da tecnocrati e coloro che, al contrario, l’hanno vissuta e insegnata come una disciplina intellettuale con risvolti politici e radici sociali.

La scomparsa di Federico Caffè rimane uno dei grandi misteri che riguardano personalità di straordinario ingegno italiano (il paragone ricorrente è quello col destino di Majorana), ma il suo pensiero torna oggi di grande attualità non solo per i temi su cui egli lavorava ma perché il suo più noto allievo si chiama Mario Draghi.

Nel puntuale ritratto che ne fa Michelangelo Morelli su Pandora rivista, si ricorda il ruolo di Caffè nella Resistenza, il suo sostegno alla politica economica laburista sul finire degli anni ’40 mentre studiava presso la LSE, il suo rapporto col pensiero di Einaudi e con, tra gli altri, il collega Claudio Napoleoni, la sua capacità di vivere tra il mondo accademico-scientifico e quello della “messa in pratica” delle idee all’interno principali istituzioni finanziarie internazionali.

Come è noto, Keynes sosteneva che, nel tempo, è il potere delle idee più che quello degli interessi a essere pericoloso per il bene o per il male: “I matti al potere, i quali sentono voci nell’aria, distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro”. Proprio Federico Caffè sosteneva che, anche quando gli interessi sono più forti, bisogna tuttavia che gli economisti badino alle idee.

Poiché viviamo in quella che Crouch ha definito una “post-democrazia”, il Parlamento e il Governo, invece di essere luogo di composizione di interessi rappresentati dai partiti, diventano teatro di scorrerie individuali dei leader, di invocazione dell’uomo salvifico “tecnico”, della speranza che si risolva istituzionalmente una crisi che dovrebbe essere risolta politicamente.

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