Torna l’incubo focolai, con la variante inglese l’Italia sarà meno gialla
La prima buona notizia è che l’Europa sta trattando con le aziende per aumentare le forniture, visto che alla Commissione non è sfuggito il fatto che mentre si riducono le consegne, in Italia c’è chi propone alle nostre regioni stock da decine di milioni di fiale spuntate non si sa dove. Ma Breton è venuto anche a tastare il terreno, da noi come altrove, per capire se è possibile, anche in barba al brevetto, produrre in proprio i vaccini, oggi in mano solo a tre multinazionali. «Per produrre quelli a Rna messaggero di Pfizer e Moderna serve almeno un anno perché si tratta di tirar su nuovi impianti dotati di sofisticati bo-reattori» ha spiegato Arcuri al commissario Ue. Per quelli a vettore virale potrebbero invece bastare sei mesi. La ricognizione di quali aziende potrebbero accendere i motori in Italia è stata fatta già. Si tratta di sei multinazionali che hanno siti produttivi di vaccini in Italia: Glaxo, Mylan, Sanofi, Seqirus, Merck Sharp & Dohme e Jansens.
È chiaro che tutta l’operazione richiederebbe tempi ancora più lunghi se i proprietari del brevetto non dovessero acconsentire a trasferire il know how tecnologico. Ma l’esempio della Francia che ha imposto un accordo in questo senso a Sanofi e Pfizer dimostra che l’Europa può usare armi molto persuasive con big pharma, se vuole. Nel frattempo i numeri dell’effetto vaccino sui nostri sanitari sembrano dire che non solo quello di Moderna, ma anche l’antidoto di Pfizer funziona come barriera ai contagi oltre che alla malattia. Dalla struttura commissariale informano che a oggi il 50% dei sanitari ha ricevuto il richiamo, l’80% la prima dose. A fronte di una copertura quindi ancora parziale i contagi sono scesi del 64,2%, passando dai 4.382 casi della settimana dal 13 al 19 gennaio ai 1.570 di quella dal 3 al 9 febbraio.
LA STAMPA
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