La scommessa sulla giustizia
Quanto alle novità di giornata che annunciano la metamorfosi, cominciata prima di qualsiasi previsione, dei partiti politici presenti in Parlamento, sono due. La prima è l’espulsione dal Movimento 5 Stelle dei 15 senatori che non hanno votato la fiducia (e forse degli 8 assenti, se non saranno in grado di giustificarsi), che apre ufficialmente la scissione, dato per scontato anche il “no” di un certo numero di deputati grillini. Ci si potrebbe chiedere come mai stavolta, diversamente da altre precedenti, la ghigliottina sia calata così repentinamente, accompagnata da un post del Fondatore che in sostanza dice che non c’è spazio nel M5S per contestare la decisione di appoggiare Draghi. La risposta è abbastanza semplice: seppure non trascurabile nei numeri, la fuoruscita degli estremisti grillini aiuta i governisti a portare a compimento la loro scelta e a cercare di pesare di più nel governo, soprattutto in materia di transizione ecologica, il tema che diventerà centrale nelle politiche dell’esecutivo e di riflesso anche nella nuova vita del Movimento.
Dalle prime dichiarazioni, è lecito dedurre che gli espulsi siano divisi in due anime: una destrorsa, para-sovranista, che sarebbe stata pronta a traghettare nei gruppi parlamentari della Lega, se il Carroccio non fosse entrato nella maggioranza di unità nazionale, o nel minipartito “Italexit” di Paragone, anche lui ex-grillino. È il gruppo che più difficilmente resterà unito, destinato com’è a diluirsi nei gruppi misti. L’altra è più insidiosa, perché mira a muoversi d’intesa con Casaleggio e Di Battista, rimasti dentro al Movimento ma decisi a rappresentare l’opposizione interna richiamandosi alle radici e all’anima originaria di protesta dei 5 stelle, e contestando la svolta di Grillo e la gestione del reggente Crimi, che non a caso ha annunciato che non chiederà di entrare nel governo, per evitare l’accusa di poltronismo.
Se tra i grillini siamo appena all’inizio del cambiamento, chi ha compiuto pienamente la sua svolta è la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Parlando ieri a Montecitorio, ha detto addio all’opposizione urlata che aveva condotto fin qui contro Conte e ha inaugurato, a partire da un chiaro “no” al governo, un difficile ma articolato confronto con Draghi. Da europeista – presidentessa del gruppo dei Conservatori a Strasburgo e fautrice di un’Europa delle nazioni – a europeista convinto che l’Europa debba allargare l’ambito delle proprie decisioni sovranazionali, come Draghi. Da italiana che spera, malgrado tutto, che l’Italia ce la faccia, a italiano, come Draghi, che s’è assunto il compito di provarci. Da aspirante prima premier donna, a premier in carica del governo della ricostruzione. Il tono e la sostanza dell’unica leader rimasta avversaria del governo sono cambiati. La novità esiste. Anche in questo caso, vedremo con quali esiti.
LA STAMPA
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