La partita di Mario Draghi sul capitale umano

Le “Comunicazioni del presidente del Consiglio” ai due rami del Parlamento sono state improntate allo “spirito repubblicano di un Governo che nasce in una situazione di emergenza, raccogliendo l’alta indicazione del capo dello Stato”. Il discorso ampio e forte di Draghi tratta delle urgenze italiane e delle prospettive per l’Italia in Europa. Ne considero tre aspetti: uno generale (l’identità) e due “diagonali” (l’istruzione e l’innovazione).

Identità: l’Italia in Europa.

Draghi ha affermato che ”… senza l’Italia non c’è l’Europa, ma fuori dall’Europa c’è meno Italia”. È evidente che il Governo da lui presieduto, con la sua ampia maggioranza parlamentare, configura un’unità nazionale che dà nuova forza all’Italia in Europa in linea con il ruolo di cofondatrice e di coprotagonista di tutta la costruzione europea. Draghi lo sottolinea rilevando come l’Italia sia una grande potenza economica e culturale che pesa in Europa, lasciando intendere che potrebbe pesare di più se avesse maggiore consapevolezza della propria rilevanza. Significativo è il riferimento a una più stretta collaborazione strategica con Germania e Francia da un lato, ma anche con i Paesi mediterranei. Netto è il richiamo all’irreversibilità dell’euro (che Draghi ha salvato, per fortuna di tutti noi!), ma anche alla necessità che l’Europa evolva verso un bilancio pubblico comune (solidarietà sistemica) per sostenere i Paesi nei periodi di recessione e per la convergenza. Dunque un’Italia più forte in un’Europa che innova e investe con il Next Generation EU, il cui orizzonte arriva (e forse supera) un decennio. Adesso il Governo Draghi deve dimostrare che le risorse del Recovery Fund saranno ben usate in Italia. A tal proposito riflettiamo su due strategie di intervento “diagonali”, che riguardano in particolare tre ministri molto competenti.

Istruzione: la scuola e l’università.

Il presidente Draghi parte dal quesito-affermazione che “non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura. È una domanda alla quale dobbiamo dare risposte concrete e urgenti quando deludiamo i nostri giovani, costringendoli a emigrare da un Paese che troppo spesso non sa valutare il merito e non ha ancora realizzato un’effettiva parità di genere”. Purtroppo è vero. Il divario con l’Ue vede l’Italia 3 punti sopra la media per abbandono scolastico e 14 punti sotto la media come percentuale di laureati nella fascia di età fino a 34 anni. Senza dimenticare gli oltre 320mila ragazzi e ragazze nella fascia 20-34 anni che hanno lasciato l’Italia tra il 2009 e il 2018. Preoccupa anche la dinamica: erano 20mila l’anno all’inizio dell’ultimo decennio, sono diventati 40 mila nella seconda metà. Dati, questi, precedenti alla pandemia. La complessità del problema non consente rimedi immediati, ma la soluzione di una urgenza presente e per una scelta di prospettiva. Urgente è la necessità di riportare la scuola alla normalità nel contesto di sicurezza richiesto dalla pandemia. Qui il presidente fornisce un dato quantitativo. Sui 1.696.300 studenti delle scuole secondarie di secondo grado nella prima settimana di febbraio solo il 61% ha avuto assicurato il servizio attraverso la didattica a distanza. Questa affermazione viene rafforzata specificando che nelle Regioni del Mezzogiorno si sono incontrate le maggiori difficoltà. La scelta di prospettiva è di investire in una “transizione culturale… (per) disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel panorama europeo, con innesti di nuove materie e metodologie, coniugando le competenze scientifiche con quelle delle aree umanistiche del multilinguismo”.

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