Segretario Pd, manovre per una successione lampo. I nomi di Pinotti, Finocchiaro e Orlando
Fino all’ultimo hanno sperato che Nicola Zingaretti non formalizzasse le dimissioni. E ora i maggiorenti del Partito democratico sono costretti a prendere atto della realtà. Ben sapendo che questo non è il tempo per un congresso. Infatti nelle frenetiche consultazioni di ieri per evitare un tracollo del Pd, i leader della minoranza di Base riformista e quelli della maggioranza interna hanno deciso di eleggere il successore di Nicola Zingaretti nella prossima Assemblea nazionale. «Non c’è tempo da perdere», dice Dario Franceschini ai suoi, preoccupatissimo di mettere il partito al riparo dalla bufera che si è scatenata dopo le dimissioni improvvise di Zingaretti. «Dobbiamo salvare il Pd ed evitare i contraccolpi che queste dimissioni potrebbero provocare», ripete Lorenzo Guerini ai fedelissimi.
«Difficile un rinvio dell’assemblea»
E Andrea Orlando è d’accordo. Il ministro del Lavoro — che, in quanto vice di Zingaretti, si era proposto come referente di Draghi nei dem — al pari degli altri suoi compagni di partito è ora in difficoltà. La preoccupazione è forte: le elezioni amministrative sono state rinviate a ottobre, ma comunque, dopo l’addio traumatico di Zingaretti, i dem rischiano: quello che il segretario dimissionario ha definito come un «atto d’amore nei confronti del Pd» potrebbe diventare nelle urne la condanna a morte del Partito democratico. L’Assemblea nazionale è prevista per il 13 e 14 marzo e non si sa se si riuscirà a farla slittare. «Difficile», dicono al Nazareno. Ma comunque i big del partito ci provano. Non ci sarà però nessuna resa dei conti in quella sede e non si fronteggeranno due candidati alternativi. La corsa per la leadership del partito sarà rinviata a un congresso da tenersi nei primi mesi del prossimo anno. E sarà quindi in quei primi mesi del 2022 che scenderanno in campo i veri candidati alla segreteria del Partito democratico.
Dem in affanno nei sondaggi
Alle assise lo scenario più probabile, al momento, vede da una parte Andrea Orlando e dall’altra Stefano Bonaccini. O Dario Nardella. Ma all’Assemblea gli eserciti degli opposti schieramenti non si fronteggeranno. La clamorosa uscita di scena di Zingaretti, infatti, rischia di mettere in difficoltà un Pd che già negli ultimi sondaggi sembrava in affanno. Fermo al 18,5 per cento dei consensi, nel migliore dei casi. Ossia inchiodato alla stessa percentuale del Partito democratico di Matteo Renzi.
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