Corona, perché?
di Massimo Gramellini
Alla notizia che sarebbe dovuto tornare in carcere per avere violato le regole dei domiciliari, Fabrizio Corona si è cosparso il volto di sangue a uso dei social (che hanno poi rimosso le immagini). Caricato su un’ambulanza, ne ha frantumato i vetri a pedate. Pare che gli faranno una perizia psichiatrica, ma ad averne bisogno saremmo anche noi, che da vent’anni ci interessiamo a lui. Il mondo è pieno di persone incapaci di modificare il carattere e quindi il proprio destino: riuscirci è difficilissimo, come ben sa chiunque abbia provato a togliersi un vizio o a levigarsi l’ego nel tentativo di non soffrire più per il successo altrui. Da Eschilo a Shakespeare, gli eroi tragici sono appunto quelli che non riescono a cambiare. Ma hanno un talento, o comunque una grandezza che, se non nobilita né giustifica le loro trasgressioni, le rende dense di significato. Fabrizio Corona non ha e non è nulla di tutto ciò. Perché allora i contemporanei seguono la sua vita con curiosità spasmodica e gli dedicano copertine e ospitate televisive, salvo scandalizzarsi per l’uso che egli ne fa?
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