Guido Bertolaso: «Qui senza poteri. Sono esausto per l’impegno e dopo l’ultima dose torno a fare il nonno»
È circondato da mappe. Ogni centimetro del territorio lombardo colorato a seconda dell’incidenza del contagio. Sulla scrivania, il risiko delle vaccinazioni. Guido Bertolaso il 2 febbraio ha accettato di diventare il consulente della Regione per la campagna vaccinale. Era a casa a disegnare con la nipotina. Lo hanno chiamato come uno di quei calciatori a cui si chiede di fare la differenza in una partita in salita.
Si è già pentito?
«No, sono un osso duro. Però mi sento in discussione ogni giorno».
È il secondo atto della sua avventura lombarda. Cosa ricorda del marzo scorso?
«In questi giorni ero ricoverato con il Covid. Per l’ospedale in Fiera ho ricevuto attacchi di ogni genere. Ora che è diventato un argine decisivo per le terapie intensive non la vivo come una rivincita. Solo come la cosa giusta da fare».
Ha attaccato per primo Aria: era la cosa giusta da fare lasciare la piattaforma che gestisce le prenotazioni dei vaccini?
«Mi ero accorto che qualcosa non funzionava il giorno che abbandonarono 300 anziani convocati per errore. Ma le sembra possibile che qualcuno non venga chiamato ed altri mandati a 60 chilometri da casa per farsi vaccinare?».
Un altro duro colpo per l’immagine di eccellenza sanitaria lombarda?
«Era
un sistema che funzionava male e andava cambiato: siamo atterrati su
Marte, non possiamo non gestire delle prenotazioni via sms».
Riconosce una matrice politica nelle critiche?
«L’emergenza
sanitaria non può avere bandiere. Nella mia vita ho lavorato con 4.500
sindaci e non mi sono mai chiesto di che partito fossero. Nessuno crede
che in questo Paese si possa seguire un ideale comune».
Intanto in Israele vaccinano la gente al
pub davanti a una birra. Al netto delle differenze, si aspettava una
campagna con meno buche burocratiche?
«Onestamente sì: basta
guardare il plico di 11 pagine che va compilato prima dell’iniezione.
Succede solo in Italia. Facciamo i check-in online, dobbiamo
digitalizzare queste procedure».
Senza AstraZeneca non si raggiunge l’immunità di gregge. Ha paura delle ripercussioni psicologiche dopo lo stop della settimana scorsa?
«Le
rinunce sono intorno al 10%. Man mano aumenterà la fiducia. Anch’io ho
un figlio e un nipote a Londra. Mi hanno chiesto un parere: gli ho detto
di correre a vaccinarsi».
Cosa la preoccupa?
«Fra poche
settimane dovremo far convivere tre diversi vaccini. Una grande risorsa,
ma anche un rischio di ingolfamento pratico».
Non percepisce il senso di sfiducia di un’intera generazione?
«Posso
promettere che entro l’11 aprile tutti gli over 80 saranno vaccinati.
Il piede è sull’acceleratore. Ma già ora in Lombardia sono stati
vaccinati un quinto del totale italiano: stiamo rispettando le
proporzioni. I numeri non si possono manipolare».
Qualcuno sperava nei suoi superpoteri…
«Ma qui non sono nessuno: non posso firmare un pezzo di carta, non posso stanziare un euro. Dovrei stare all’ultimo piano di Palazzo Lombardia a dire cosa mi sembra giusto o sbagliato. Invece sono qui a incastrare numeri. A rispondere ai cittadini. Con un po’ di autorevolezza, ma senza autorità».
Pages: 1 2