Mai visti così. Ecco come i buchi neri “mangiano” materia ed emettono getti fortissimi
Le osservazioni forniscono nuove informazioni sulla struttura dei campi magnetici appena fuori dal buco nero. Abbiamo compreso che solo i modelli teorici con gas fortemente magnetizzati possono spiegare ciò che si vede sull’orizzonte degli eventi del buco nero. I nuovi dati, infatti, ci hanno indicato che i campi magnetici sul bordo del buco nero sono abbastanza forti da respingere il gas caldo e aiutarlo a resistere alla forza di gravità, lasciando cadere verso l’interno (fino all’orizzonte degli eventi) solo una parte di esso, quella che riesce a scivolare attraverso il campo magnetico. L’intensità e l’orientazione della polarizzazione che vediamo nell’immagine sotto forma di striature, ha una potente influenza sul modo in cui gli oggetti orbitano attorno al buco nero e sulla formazione dei getti di buco nero, che è uno dei più grandi misteri dell’astronomia moderna.
Che strumenti abbiamo oggi in più al passato che ci permettono di avere queste immagini?
L’esperimento sfrutta la tecnica nota come interferometria radio a lunga distanza Very-Long-Baseline Interferometry (VLBI) che sincronizza (con orologi atomici) le strutture dei telescopi in tutto il mondo e sfrutta la rotazione del nostro pianeta per andare a creare un enorme telescopio di dimensioni pari a quelle della Terra (perché quanto più grande è il disco di un telescopio, tanto maggiore è il contrasto dell’immagine!). In effetti realizza uno strumento del tutto nuovo e con il più alto potere risolutivo angolare mai ottenuto. Per capirci, è un livello di dettaglio tale da leggere la pagina di un giornale a New York stando comodamente seduti in un caffè a Napoli!
Oggi a distanza di due anni dalla prima pubblicate una nuova foto, quanto tempo e quante risorse occorrono per “scattare” ed “elaborare” un’immagine?
Questa nuova immagine in luce polarizzata è basata sugli stessi dati raccolti nel 2017, ma sono stati necessari anni di lavoro per sviluppare le complesse tecniche di analisi dei dati, e per validarle attraverso simulazioni. I potentissimi getti relativistici emessi dai buchi neri supermassicci come quello al centro della galassia M87 sono stati studiati nel corso degli anni con diversi strumenti, incluso il telescopio spaziale Hubble, ma solo ora siamo riusciti ad ottenere una descrizione completa delle strutture di campo magnetico che li avvolgono.
Con gli strumenti di oggi che altre scoperte significative ci possiamo aspettare?
Questa nuova immagine è fondamentale nella comprensione dell’Universo. Finora abbiamo osservato il comportamento della relatività generale in scale di campo debole, cioè in tutti quei sistemi come ad esempio il Sistema Solare in cui i campi gravitazionali sono deboli.
La possibilità di studiare in maniera diretta i buchi neri costituisce un nuovo strumento di indagine per esplorare la gravità nel suo limite estremo e su una scala di massa che finora non è stata accessibile.
EHT sta facendo rapidi progressi, con aggiornamenti tecnologici alla rete e l’aggiunta di nuovi osservatori. Le future osservazioni di EHT riveleranno più accuratamente la struttura del campo magnetico attorno al buco nero e daranno ulteriori indicazioni sulla fisica dei gas caldi in questa regione. Inoltre, per migliorare la sensibilità ed aumentare il numero di sorgenti da osservare, si sta pensando di combinare i radiotelescopi ancorati a terra esistenti con una rete di radiotelescopi formata da satelliti in orbita attorno alla Terra, capaci di restituire immagini cinque volte più nitide.
EHT è una collaborazione molto grande, qual è il tuo ruolo?
Sono membro dello Science Council che è il nucleo della collaborazione ed è l’organismo che delinea le strategie di ricerca, decide le future osservazioni e lo sviluppo delle varie attività scientifiche. È composto da 14 esperti internazionali. Inoltre, essendo anche coordinatore del gruppo Gravitational Physics Input, mio compito è quello di indicare le strategie per l’attività di ricerca che ci permetteranno di analizzare e dare un’interpretazione fisica dei risultati ottenuti dall’analisi dei dati.
Ti ho conosciuto che eri un’assegnista di ricerca al Dipartimento di Fisica della Federico II e ora hai fatto giganteschi passi in avanti per la tua carriera. Te la senti di dare un consiglio alle nuove generazioni?
Nel 2015, quando sono entrata nella collaborazione EHT, ero un normale membro, scelto per le mie expertise. Lavorare in una collaborazione aiuta molto, perché ti permette di imparare dagli altri e contribuire a tua volta con le tue conoscenze. E’ uno scambio reciproco ed equo. Quello che ho imparato in questa collaborazione insieme con l’esperienza all’estero mi hanno aiutato a crescere e sono stati il mio biglietto di ritorno per l’Italia. Nel 2013 infatti ho lasciato Napoli e sono andata a lavorare in Siberia, non bisogna temere di andare all’estero, queste esperienze contribuiscono a formare il nostro background e anzi è poi ancora più bello poter rientrare in Italia e portare un ulteriore know-how nei nostri atenei.
L’HUFFPOST
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