L’Europa si rifonda o affonda
Angela Merkel ci ha messo tutta l’energia di un finale di carriera che sognava trionfante, è stata decisiva nella progettazione del Next Generation Eu, ultimo scatto di solidale identità comunitaria, e ora rimesso in discussione dallo sfacelo dei vaccini. Rischia di diventare un finale di carriera di macerie, non solo le sue, quanto di tutti di noi. Ma quanto sua è la responsabilità?
La differenza fra gli Stati Uniti e l’Europa è che gli Stati Uniti sono una federazione di cinquanta Stati, ognuno con un proprio parlamento imparagonabile per poteri ai nostri consigli regionali, là si legifera per davvero, si delibera, per intenderci, se ricorrere o no alla pena di morte, ma poi c’è un governo centralizzato. Ve li immaginate gli Stati Uniti, vi immaginate dove sarebbero se, per le facoltà federali ora attribuite al presidente Biden, si affidassero a un’assemblea di cinquanta presidenti costretti all’unanimità?
Lo ha spiegato benissimo ieri qui Giuseppe Colombo: il disperato e reiterato appello di Draghi agli eurobond non è una fissa da banchiere con la testa ronzante numeri, ma il disperato e reiterato tentativo politico di esortare l’Unione europea a darsi un bilancio comune, a tassare e a spendere insieme, cioè a costruire le fondamenta di una federazione con a capo qualcuno eletto da tutti che decida per tutti. Se non lo facciamo – questo ci dice Covid, ce lo dice ora – non saremo in grado di affrontare la competizione internazionale, e saremo destinati a diventare una vecchia e decorata periferia, più di quanto lo siamo ora, più di quanto siamo in grado di riconoscere, ancora fermi alle spartizioni di Aquisgrana (1748), mentre il mondo si prepara a spartirsi l’Europa. L’alternativa, infatti, è fare da sé, sciogliere l’accrocco bruxellese, tornare all’orgoglio nazionale di tempi perduti nella memoria, e innalzare la sovranità bastevole giusto a farci scegliere di quale padrone essere servo.
L’HUFFPOST
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