La solidarietà che serve all’Europa

Detta altrimenti: la virtuosa formica tedesca non vuole pagare gli aiuti alle dissolute cicale del Club Med. Vecchi pregiudizi, che non riflettono più la realtà delle cose. Come ha scritto Gian Enrico Rusconi, il “modello Germania” non esiste ormai quasi più, spazzato via dagli scandali aziendali, dalle inefficienze della macchina dei ristori e dalle proteste sociali che ne derivano. Tutto cambia, ad appena sei mesi dall’uscita di scena di Angela Merkel, che pure resta l’unica statista capace di chiedere scusa al suo popolo per gli errori commessi sui lockdown di Pasqua. Ma proprio in questo insidioso buco nero di nazionalismi che tornano e di classi dirigenti che declinano si accende la luce di Draghi. Davvero, “l’Italia è tornata”, come osserva Giampiero Massolo. Il curriculum, l’esperienza, il prestigio: piaccia o no ai nostalgici di Giuseppe Conte, che pure in Europa ha fatto dignitosamente la sua parte, le qualità indiscusse del suo successore si riflettono sull’immagine del Paese. E contribuiscono ad assegnargli una centralità inedita. Tra il Consiglio Ue di giovedì e la conferenza stampa a Palazzo Chigi di venerdì, Draghi ha ripreso, allargandola e aggiornandola, la traccia del suo “Manifesto” dell’anno scorso. Ha invitato la Commissione a battere i pugni sul tavolo con le case farmaceutiche, dicendo chiaro e tondo che «i cittadini europei si sentono ingannati». Ha imposto la linea dura sui controlli e sul blocco delle esportazioni, apostrofando Von der Leyen con un secco “o lo fai tu, o faremo da soli”. Ha ribadito che la via d’uscita dalle difficoltà della fase, com’è sempre successo nei momenti più critici dell’avventura europea, è un altro passo avanti sulla via maestra della solidarietà, non un passo indietro sul sentiero sconnesso del sovranismo. E dunque gli eurobond, una politica fiscale condivisa, un vero bilancio federale: traguardi lontani, sempre inseguiti e mai raggiunti. Ma se non ritroviamo “il gusto del futuro”, è inutile lamentarsi del presente. Vedremo cosa uscirà dalle urne tedesche di settembre. Nel frattempo, Draghi può dettare l’agenda. E l’Italia può sostituire la Germania nell’asse con la Francia. Archiviato per sempre l’incredibile e inguardabile “embrassons nous” sui Campi Elisi tra Di Maio e i “gilet gialli”, Draghi e Macron possono formare la “coppia emergente del potere europeo”, il nuovo “Entente Cordiale” che salda il Nord e il Sud dell’Unione, come ipotizza il Financial Times. Naturalmente, perché questa profezia si avveri, il premier deve vincere la sua partita in Italia. Draghi può farcela solo se fa Draghi. Cioè se decide, senza calcoli sul suo possibile laticlavio quirinalizio e senza scendere a compromessi al ribasso con i partiti. Per intenderci: il Draghi che serve non è quello che dice sì al condono per tenere a cuccia la Lega, ma quello che liquida con sottile ironia le pretese aperturiste di Salvini. «Il pensabile o l’impensabile lo decidono solo i numeri»: una sentenza definitiva, che fa quasi il paio con il famoso “whatever it takes”. La chiamano Tecnica. E invece, questa sì, è vera Politica.

LA STAMPA

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