L’inerzia che paralizza il Paese

«Non ci fidiamo dello Stato e moltiplichiamo i controlli e le proibizioni», osservò nel 2016 Romano Prodi. Quindi, abbiamo ora l’Autorità anticorruzione, con un compito che poteva esser svolto dalla stessa Corte dei conti e dai giudici penali. Questo nuovo guardiano della moralità pubblica, però, si è sovraccaricato di minute funzioni burocratiche e non è in grado di dirci se la corruzione è fenomeno tanto vistoso come viene presentato. Non si è mai vista un’autorità che lotta contro qualcosa di cui non conosce o non sa stimare le dimensioni. La conseguenza è che nessuno può dire se la sua azione sia efficace nel prevenire la corruzione, mentre tutti riconoscono che lo è nell’impedire e rallentare l’attività amministrativa.

I paradossi di questa situazione sono tre. Il primo è che negli ordinamenti moderni l’azione di contrappesi sarebbe utile, ma a condizione che essi non agiscano da freno o impedimento, come nel nostro caso. Il secondo è che quelle forze che ora operano in funzione conservatrice hanno in passato svolto un ruolo ben diverso. Ferdinando Carbone agli albori della Repubblica, e più tardi Vittorio Guccione, hanno contribuito a perfezionare e realizzare la relazione della Corte dei conti al Parlamento sul rendiconto generale. Giulio Pastore e Luciano Lama, due leader sindacali, erano interessati a migliorare il funzionamento dello Stato almeno quanto ad assicurare migliori condizioni di lavoro ai dipendenti pubblici. Il terzo è che la storia avrebbe potuto essere diversa: l’Autorità anticorruzione, invece di aspirare a fare l’angelo custode, avrebbe potuto aiutare le amministrazioni a gestire meglio, così evitando la «maladministration» (ad esempio, un funzionario meno dipendente dai partiti avrebbe potuto spiegare a un assessore regionale che «spalmare» su più giorni i morti falsa le valutazioni tecniche, orienta in modo errato le decisioni politiche e danneggia la salute pubblica).

Naturalmente, vi sono anche altre responsabilità: i difensori della conservazione sono tanti e così forti perché la nostra democrazia è disgregata, ha una guida politica mutevole per il continuo passaggio di governi e di forze politiche, è guidata solo per brevi periodi di tempo da veri uomini di Stato.

CORRIERE.IT

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