Perché sono cambiate le rotte dei migranti nel Mediterraneo e da dove arrivano i disperati del mare

I «respingimenti» dei francesi

Se ne sono accorti pure dall’altra parte dell’Italia. Al confine di Ventimiglia, gli operatori delle associazioni di volontariato che assistono i migranti, sia quelli che arrivano sia quelli respinti dalla Francia, registrano numeri in crescita proprio dalla Sicilia: «Al momento, anche per via del blocco operato dalla Serbia, gli arrivi di migranti della rotta balcanica che hanno caratterizzato lo scorso anno, si è quasi esaurito – dice Simone Alterisio della Diaconia Valdese -. Invece arrivano in tanti dal Sud, soprattutto Lampedusa e Sicilia; maghrebini, gambiani, sudanesi, eritrei, e numerosi minori non accompagnati dalla Guinea. Molti non provano più a passare la frontiera con i treni, visto che oramai ci sono le pattuglie miste italo-francesi che controllano già a Ventimiglia, ma tentano di attraversare il confine dal pericoloso Passo della Morte, sulle montagne che sovrastano il confine». E ogni giorno, almeno fino alla scorsa settimana, la polizia francese ha «restituito» all’Italia dai 100 ai 150 migranti: «Ma abbiamo avuto anche picchi di duecento, persone che poi la sera si presentano nel piazzale davanti al cimitero, alle Gianchette, per ricevere un pasto».

Numeri in aumento, dunque, ma che non preoccupano più di tanto e che di certo non sembrano comparabili con quelli, complessivi, degli anni della grande migrazione: 170mila arrivi nel 2014, 154mila nel 2015, 181mila nel 2016, 119mila nel 2017; per poi «precipitare» ai 23mila arrivi del 2018, ai 12mila del 2019, ai 34mila del 2020.

Perché sono cambiate le rotte dei migranti nel Mediterraneo e da dove arrivano i disperati del mare

E i «respingimenti» dei libici

«Va considerata anche l’azione della Guardia costiera libica – fa notare Di Giacomo dell’Oim -. Almeno una persona su due che parte dalla Libia viene riportata indietro, e questo nonostante quel Paese non sia un posto sicuro, per il quale non ci stancheremo di ripetere che questi sono respingimenti in violazione delle leggi internazionali. Una volta tornati in Libia, i migranti sono infatti sottoposti a detenzione arbitraria e sono a rischio di violenze e abusi». Nella settimana tra il 28 marzo e il 3 aprile, l’Oim Libia ha calcolato che 1663 persone sono state intercettate in mare dai libici e riportati indietro. Nello stesso periodo, i migranti recuperati in mare, spesso da barche «in distress» e dunque in pericolo, e sbarcate in un «Pos», un porto sicuro, quasi sempre in Italia, sono state 1960. Il totale delle persone riportate in Libia da inizio 2021 è di 6071 persone. Sono state 11.891 in tutto il 2020.

Ma cosa accade a chi viene riportato in quel martoriato Paese? I racconti, ricevuti con molta difficoltà dalle organizzazioni umanitarie presenti nei porti per la prima assistenza, sono molto duri. L’unico momento di «conforto» sembra essere quello del loro sbarco su una banchina del porto libico. Contattato da InfoMigrants, un migrante della Guinea che in questi anni ha più volte tentato la traversata, ha raccontato: «Una volta portati sulla banchina, veniamo contati. Quindi operatori dell’Oim ci consegnano una scatola in cui ci sono dei croissant, lattine di succo di frutta e una bottiglia d’acqua da un litro. Tutto qui». L’Oim, ha fatto sapere la portavoce in Libia Sasha Msehli, provvede anche a fornire kit per l‘igiene personale e si occupa di curare e portare in ospedale i più fragili o chi sta male. Ma cosa accade dopo a tutti gli altri, nessuno sa dirlo. Se non gli stessi migranti, ma solo quando finalmente sono riusciti a raggiungere l’altra sponda del Mediterraneo. I racconti di torture e violenze, ancora prima che con le parole, sono scritti sui loro corpi segnati da frustate, ustioni, ferite d’arma da fuoco. E’ da questo che fuggono i migranti che, da mezza Africa, arrivano in quel collo di bottiglia che si chiama Libia e dove ognumo di loro diventa rapidamente «merce», preda dei trafficanti di uomini tra i quali, lo hanno raccontato le cronache di questi anni, ci sono anche persone che stanno nelle istituzioni o nelle forze di sicurezza o nella stessa Guardia costiera, in molti casi «infestata» da vere e proprie milizie.

I «nuovi» arrivi a Lampedusa

«A Lampedusa abbiamo rivisto dopo tanto tempo nordafricani, subsahariani e gente del Bangladesh», nota il sindaco Martello: «Non accadeva da un po’». In queste settimane l’isola è stata nuovamente affollata di migranti, tutti finiti nell’hotspot di contrada Imbriacola o sulle navi quarantena. Attualmente nel centro di accoglienza ci sono circa 500 persone. Devono essere trasferite su due navi quarantena che sono poco al largo dell’isola in attesa che le condizioni del mare migliorino e possano così attraccare. Il mare grosso, d’altronde, in questi ultimi giorni ha rallentato le partenze. A conferma che l’unico vero «pull factor», il fattore d’attrazione come lo chiamano quelli che odiano il lavoro delle Ong in mare, per i migranti è rappresentato dal mare: quando è calmo o poco mosso, si parte; quando è mosso o molto mosso, si aspetta nelle «connection houses» e nei centri di detenzione. La maggior parte delle partenze in questi ultimi mesi sta avvenendo dalle città libiche dell’Est, quelle verso il confine con la Tunisia. E, certo, non si può escludere che in questi mesi stia avvenendo un «travaso» di partenze dalle coste tunisine a quelle libiche, come nel passato era avvenuto il contrario. Ma i tunisini, è un fatto, in numero assoluto sono diminuiti rispetto all’anno scorso; i migranti di altri Paesi sono invece aumentati: da inizio anno al 7 aprile, sono dati del Viminale, a fronte dell’arrivo di 1239 tunisini, si registra lo sbarco di 1084 persone provenienti dalla Costa d’Avorio, 868 dal Bangladesh, 740 dalla Guinea, 459 dal Sudan, 387 dall’Eritrea, 341 dal Mali.

In tutto, sono arrivati finora in Italia 8476 migranti, erano un terzo (2914) un anno fa. «Numeri che di per sé non sono comunque molto alti – rileva Di Giacomo -. Noi continuiamo a dire che non si tratta di una emergenza numerica ma di un’emergenza umanitaria». Certificata da numeri terribili: almeno 237 persone morte o disperse nel Mediterraneo centrale da inizio anno; in tutto il 2020 erano state 978. Non a caso la chiamano la rotta migratoria più mortale del mondo.  

LA STAMPA

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.